Archive for the ‘Iniziative’ category

Acquasanta Terme, Medaglia d’Argento per l’aiuto prestato ai Partigiani

Ottobre 28th, 2022

Giovedì 4 novembre, alle ore 16,30, presso la palestra di Acquasanta Terme, in via Buonamici 2, verrà conferita al Comune la Medaglia d’Argento al Merito Civile per il contributo fornito dalla popolazione acquasantana ai Partigiani che operarono in quel territorio negli anni dal 1943 al 1945.
L’onorificenza è stata conferita dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, su iniziativa della locale sezione dell’ANPI.
Alla cerimonia, oltre al presidente della sezione di Acquasanta Terme, Giuseppe Parlamenti, e al presidente provinciale, Pietro Perini, sarà presente il compagno Claudio Maderloni, dell’ANPI nazionale.
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La battaglia di Bosco Martese

Ottobre 10th, 2022

Il 17 settembre 1943 un contingente di soldati italiani già di stanza a Teramo, guidati dal capitano di artiglieria Giovanni Lorenzini, decide di non consegnarsi ai tedeschi e si trasferisce in località Ceppo (Rocca Santa Maria), a 30 chilometri dal capoluogo. Qui trova alcuni antifascisti teramani, tra i quali i fratelli Rodomonti e Armando Ammazzalorso, saliti già il 12. 6C8750FB-726B-4DD0-89E0-521E4B019150

Nei giorni successivi si aggiungono altri soldati sbandati, ex-prigionieri di guerra inglesi e slavi (dal campo di Tossicia), gruppi di civili organizzati dal comitato insurrezionale guidato da Mario Capuani. Il comando viene affidato al capitano dei carabinieri Ettore Bianco, già protagonista di un episodio di resistenza antitedesca il 12. Il gruppo viene diviso in tre compagnie: quella del partito d’Azione, quella “Estera” e quella dei comunisti, comandate rispettivamente dall’avvocato Felice Mariano Franchi, dal tenente colonnello Dushan Matiyasevic e dal tenente di artiglieria Francesco Di Marco. C4569A84-EAA1-42A2-9283-24A8F9D07C6C

Il 25 settembre un contingente di tedeschi si dirige verso il luogo dove sono situati i partigiani. La battaglia inizia alle 12.30 e dura circa tre ore; i tedeschi sono costretti al ritiro. Si contano almeno 50 soldati uccisi, cinque camion e due autovetture distrutti. Il maggiore Hartmann viene fatto prigioniero e poi passato per le armi. Dopo il combattimento, gli insorti si disperdono in piccole bande per continuare la lotta. Nel pomeriggio del 26 settembre i tedeschi cannoneggiano a lungo il Bosco, ormai già deserto. 6FD48A76-2E50-496A-908E-4E860F5BE7A1

La vittoria avrà il suo inevitabile tributo di morte. Perché i nazisti non ci stanno a vedersi sconfitti da un manipolo di rivoltosi scapestrati e organizzano la rappresaglia. Uccidono subito i cinque ostaggi catturati nella battaglia, nelle ore seguenti ammazzano tre carabinieri e un soldato. Tra le vittime di quei giorni di vendetta, anche Mario Capuani, il medico di Torricella che aveva radunato in casa sua gli antifascisti teramani. Avrà la medaglia d’oro al valor militare. Ma solo grazie al presidente Sandro Pertini.

IL PROSSIMO 15 OTTOBRE UNA DELEGAZIONE DELL’ANPI PROVINCIALE DI ASCOLI PICENO PARTECIPERÀ ALLA CERIMONIA COMMEMORATIVA.
SE VUOI AGGREGARTI, MANDA UNA EMAIL ALL’INDIRIZZO anpiascoli@gmail.com OPPURE UN WHATSAPP AL N. 3282077944

Sorgete, donne!

Ottobre 6th, 2022

Sabato 8 ottobre, alle ore 18,30, finanziato dall’Anpi Provinciale dì Ascoli Piceno, verrà rappresentato presso il Palafolli di Ascoli Piceno lo spettacolo, a ingresso libero, “Sorgete, donne!”, che prende spunto da un evento realmente accaduto:
Siamo nel 1906, la scienziata Maria Montessori, molto attiva nei movimenti femministi dell’epoca, lancia un appello alle donne italiane dalle pagine del quotidiano “La Vita”. “Donne tutte, sorgete!”. La Montessori invitava le donne ad iscriversi alla Commissioni elettorali delle proprie città e andare a votare, dato che nessun articolo della legislazione lo vietava formalmente. Dieci maestre marchigiane risposero alla chiamata dell’illustre conterranea. 5B180F59-CB29-43D5-BCDE-F99376ABEA9F
Il fatto straordinario fu che un giudice illuminato della Corte di Appello di Ancona, Lodovico Mortara, accettò la domanda di iscrizione. Queste dieci maestre (provenienti da Senigallia e Montemarciano) furono dunque iscritte per quasi un anno alle liste elettorali, unico caso in Italia. La domanda venne poi rigettata ma il fatto destò fortissimo scalpore.
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Lo spettacolo, di e con Simona Lisi, parte da questa storia straordinaria della nostra Regione, per poi allargare lo sguardo sul tema dei diritti duramente conquistati, proprio attraverso la forza della solidarietà femminile. Il linguaggio è quello del teatrodanza-canzone, espressione con cui la Lisi descrive la sua forma ibrida di creazione per la scena, che per l’occasione si declina in una forma lirica di teatro civile.

Una grande e partecipata celebrazione a Colle San Marco

Ottobre 4th, 2022

Pubblichiamo il discorso del Presidente provinciale ANPI Pietro Perini, pronunciato il 3 ottobre a Colle San Marco, di fronte ad una vasta platea di cittadini e giovanissimi studenti delle scuole cittadine.
Presenti alla cerimonia, oltre alle istituzioni locali, ai rappresentanti delle FF.AA e della Polizia di Stato, alle associazioni combattentistiche, il Presidente nazionale dell’ANPI Gianfranco Pagliarulo, l’on. Augusto Curti, il consigliere regionale Anna Casini, Tamara Ferretti e Claudio Maderloni dell’ANPI nazionale, delegazioni dell’ANPI provinciale di Teramo e delle sezioni di Acquasanta Terme, Comunanza e San Benedetto del Tronto, tante e tanti antifascisti.

IL TESTO DEL DISCORSO

“Buongiorno a tutte e a tutti, porgo il benvenuto dell’ANPI a tutte le autorità intervenute, militari, civili, religiose e a tutte le associazioni combattentistiche e naturalmente a tutti i presenti che hanno sentito il bisogno, in questo giorno, di salire su questo Colle. Un saluto particolare da parte di tutto il Comitato ANPI di Ascoli Piceno va al nostro Presidente Nazionale Gianfranco Pagliarulo che ha esaudito il nostro desiderio e il nostro invito a partecipare a questa cerimonia. Grazie Presidente. Ma il saluto più caloroso da parte di tutta l’ANPI ascolana va a voi, ragazze, ragazzi e docenti delle scolaresche ascolane oggi presenti su questo Sacrario. Grazie di cuore per la vostra presenza. B41AD45A-91ED-43E8-AD20-973C98EE3D6B
Care ragazze e cari ragazzi, oggi mi rivolgo a voi perché rappresentate il futuro di questa povera Italia, perché siete ancora delle persone pulite, perché siete in grado di capire e non siete adulti, con i quali, nella stragrande maggioranza dei casi, negli ultimi tempi, non vale la pena di parlare. Mi rivolgo a voi soprattutto perchè siete, purtroppo, gli eredi di questo mondo che gli adulti, appunto, hanno letteralmente dilaniato con le guerre, con le pandemie, con i disastri ambientali, con le macerie di case abbattute dai terremoti e mai ricostruite, con ospedali nei quali è sempre più difficile farsi curare, con una scuola alla quale piano piano, abbiamo sottratto il suo vero ruolo, con un futuro ma anche con un presente che non concede prospettive lavorative, con famiglie che hanno perso completamente la propria identità, dove le mamme uccidono i propri figli e i figli massacrano i propri genitori, dove le donne che una volta non si toccavano nemmeno con un fiore, vengono malmenate, stuprate, ammazzate dai loro mariti, un mondo dove non esiste più la carità, l’aiuto verso il prossimo, in una parola sola, non esiste più il RISPETTO.
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Ma come siamo arrivati a tutto questo sfacelo? Eppure non tanti anni fa, circa 80, non sono tanti 80 anni, più o meno l’età dei vostri nonni, le donne e gli uomini di questo Paese gettarono le fondamenta per ricostruire un’Italia dove le future generazioni potessero vivere le proprie vite potendo guardare con grande ottimismo al proprio futuro. Giovani poco più grandi di voi, per lo più ventenni, capirono chi rappresentava il male e chi il bene. Pur avendo idee politiche completamente diverse decisero, senza che qualcuno lo ordinasse loro, di unirsi per combattere un nemico che da molti anni li aveva privati della Democrazie e della loro Libertà. Era un nemico potente, con un esercito smisurato e che da tempo aveva ricevuto persino il consenso delle popolazioni: era il nazifascismo dei dittatori hitler e mussolini. Ma non tutti fecero la stessa scelta! Gli italiani si divisero tra coloro che decisero di combattere per conquistare Libertà e Democrazia e coloro che vollero rimanere fedeli all’invasore tedesco e al fascista mussolini. Fu così che immediatamente dopo l’Armistizio dell’8 settembre del 1943, su questo Colle si formò una delle prime bande partigiane con lo scopo di salvaguardare la città dalle nefandezze che l’esercito tedesco, aiutato dai fascisti locali, in ritirata da sud verso nord, commetteva verso le popolazioni, non curandosi se composte da donne, vecchi e bambini. I Partigiani ascolani si sentivano al sicuro su questo Colle raggiungibile solo dalla città utilizzando una strada che era costantemente sorvegliata. Ma la notte del 2 ottobre le truppe tedesche furono guidate dai fascisti ascolani lungo i sentieri della montagna a loro sconosciuti e portate alle spalle dei Partigiani dislocati sulle pendici del pianoro di San Marco. I combattimenti durarono tutto il giorno seguente, il 3 ottobre. Furono molti i nazisti che persero la vita grazie all’eroismo dei nostri giovani ma alla fine si contarono ben 39 vittime completamente massacrate dai tedeschi, tra i nostri 374C9BCD-221C-43AF-9793-62DDE26197CApartigiani. Ma quei giovani non morirono invano. Ovunque si moltiplicarono le Bande Partigiane. Ovunque donne e uomini si unirono per combattere insieme nel nome del loro unico grande ideale: la Libertà. Fu una guerra sanguinosa, massacrante, violenta, fu la guerra di Resistenza. La madre della nostra Democrazia, della nostra Libertà e della nostra Costituzione. Quelle ragazze e quei ragazzi del 1943 ci avevano donato questi beni inestimabili, che permettono ad una nazione di crescere e prosperare e che devono sempre essere alimentati e salvaguardati, a qualsiasi costo, senza mai commettere l’errore di pensare che siano acquisiti per sempre, ricordando sempre quali sono stati gli errori che li fecero perdere e avendo memoria dei sacrifici che hanno permesso di riconquistarli. Quei ragazzi ci hanno anche insegnato che solo con compattezza ed unità di intenti si possono vincere le più difficili battaglie ma questa lezione così semplice da attuare, oggi è diventata un’impresa titanica alimentata dai protagonismi e dagli interessi personali degli adulti, rimettendo in discussione ed in pericolo niente meno che i valori sanciti dalla nostra Carta Costituzionale, perdendo di vista il proprio ruolo che impone loro di migliorare la condizione di chi studia, soffre, non lavora, è più debole, è più povero, è malato. Dimenticando quegli insegnamenti, hanno disperso in innumerevoli rivoli tutte le forze antifasciste e progressiste facendo perdere ad esse energia e consistenza necessarie per continuare a proteggere la nostra Libertà, la nostra Democrazia e la nostra Costituzione che affondano le radici in ben altri rivoli che sono quelli formati dal sangue dei corpi dei nostri partigiani che hanno intriso la terra delle nostre montagne, delle nostre valli e delle nostre città, alimentando il seme della Resistenza che ha permesso la loro conquista. Care ragazze e cari ragazzi fra qualche anno anche voi sarete degli adulti e diventerete i protagonisti della società futura, abbiate sempre memoria di questi insegnamenti e fate in modo di non ripetere gli errori di chi vi ha preceduto, B35AB039-BC31-447B-B78A-D164C2E6D14Bquando dovrete fare delle scelte, quando avrete a che fare con il prossimo, quando dovrete parlare con delle persone, ricordate sempre che non dovrete parlare al loro cervello ma dovrete parlare al loro cuore per far capire loro che siete dalla loro parte, che volete impegnarvi per loro, per far capire che di voi si possono fidare; perché è nel cuore che trovano posto i sentimenti umani e sono i cuori che palpitano per i propri cari e quando si vuole bene, ma anche quando non si ha un lavoro, quando non si hanno possibilità economiche e quando si ha paura del futuro. Care ragazze e cari ragazzi in questa giornata mi sono rivolto a voi per farvi capire quanto siete importanti per il nostro ma soprattutto vostro futuro, per raccontarvi della scelta che fecero i vostri coetanei Partigiani e quanto siano importanti le scelte che vi aspettano durante il percorso della vostra esistenza. In questo siete un po’ più avvantaggiati rispetto a quelle ragazze e a quei ragazzi del 1943, voi avete a disposizione due armi potentissime, una è rappresentata dallo studio, siate sempre avidi di sapere, di conoscere, di istruirvi; saprete sempre quale è la cosa giusta, saprete sempre se potete fidarvi di qualcuno, saprete sempre riconoscere il bene dal male. F228E61F-A923-4EFE-8F38-0449CE700148 Pensate che i dittatori hanno sempre prosperato nell’ignoranza delle loro popolazioni, pensate che per evitare che la gente sapesse e conoscesse, ordinarono di bruciare i libri!! L’altra arma a vostra disposizione è rappresentata dalla nostra Costituzione; rispettate e fate rispettare i suoi principi, essi rappresentano la strada maestra da seguire per fare in modo che la vostra società futura possa poggiare perennemente sulle basi di una ferrea Democrazia. Tutelatela sempre, proteggetela sempre da qualsiasi tipo di manomissione, con tutte le vostre forze, a qualsiasi costo.“

3 ottobre 2022, a Colle San Marco con Gianfranco Pagliarulo

Settembre 17th, 2022

Spartaco Perini, comandante della Brigata Patrioti Piceni – la banda del San Marco – racconta i tragici avvenimenti che precedettero le giornate del 3, 4 e 5 Ottobre 1943.

“In città regnava il malumore più completo per la poca previdenza delle autorità tutte, dal Prefetto al Questore al Tenente Colonnello dei RR.CC. (…). Infatti, gli elementi pessimi fascisti venivano liberati dal carcere e sostituiti con alcuni antifascisti. Si supplicò di distribuire il grano dell’ammasso alla popolazione, cosa che fu approvata dal Prefetto, ma quando si doveva iniziare la distribuzione, [l’ordine] fu ritirato- così si disse – per desiderio espresso dei tedeschi. Quindi uscì un bando per il servizio obbligatorio per le classi 1921-22-23-24 e 25. Fu allora che la mia idea si sviluppò e si propagò, tanto che molti giovani, appartenenti o no a queste classi, vennero da me a gruppi, onde chiedermi come si potevano contenere, esprimendo tutto il [loro] più vivo desiderio di combattere i tedeschi. Già il mio intenso lavoro aveva trovato qualcosa: gli uomini; le armi, invece, scarseggiavano ancora. Non mi scoraggiai per questo e, d’accordo col capitano Pigoni, effettivo del 49′ Fanteria, incominciai a far affluire tutti quei giovani volontari sulla Montagna dei Fiori, attraverso il Colle San Marco, assicurando loro che lassù ci sarebbero state armi e viveri per tutti. Io stesso mi ritirai con gli altri miei amici e alcuni colleghi sopra il Colle San Marco. Lì, con il capitano Pigoni, iniziai su più vasta scala, sempre nei limiti del possibile, il rifornimento di armi e di alimentari. 5B4BC72A-2053-4BA4-BE43-7216DCADC2D1
Eravamo al giorno 25 o 26 settembre e già i nostri effettivi erano cresciuti e si erano moltiplicati. Avevamo fatto progressi in fatto di armi e possedevamo dei muli appartenenti al Regio Esercito per le nostre salmerie, un autocarro in buono stato anch’esso del Regio Esercito è un altro in riparazione, nonché diversi veicoli e motociclette messi a nostra disposizione dai buoni e veri italiani. Avevamo avuto fucili per tutti prendendoli alle Casermette degli avieri, d’accordo col tenente Zerbino, [al quale era stato] comandato di custodirli per consegnarli poi ai tedeschi. Avevamo inoltre altri fucili mitragliatori, e le munizioni ed i rifornimenti continuavano ad affluire. Due miei amici, il tenente di complemento Celani Dario e il sergente maggiore pilota, due volte medaglia d’argento Petrelli Italo, attraverso una pericolosa missione svolta al porto di San Benedetto del Tronto, erano riusciti ad impadronirsi di tre mitragliatrici Breda e Fiat, che mi portarono sul Colle San Marco, dove avevo nel frattempo piantato il comando.
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Con l’auto carro ed alcuni uomini armati andavamo di notte in città presso quei depositi di armi e di viveri che mi venivano segnalati dai miei informatori o da alcuni signori che appoggiavano il nostro movimento, fra i quali Castelli Vincenzo, Poli Rigo, Pascali Francesco, Loreti ed altri. Caricavamo sempre del materiale: teli da tenda, divise, scarpe, viveri e munizioni; poi lo ammassavamo in un magazzino messo a nostra disposizione dal Signor Parisi sul Colle San Marco, e quindi da qui lo smistavamo ai vari capisaldi che si venivano formando sulle pendici della Montagna dei Fiori. Feci anche stendere una linea telefonica che andava dal caposaldo più alto della nostra zona fino ad Ascoli, onde essere informato celermente di tutti i movimenti tedeschi. In più, avevo effettuato il collegamento, tramite una staffetta, con le bande armatedel Bosco Martese di Teramo, a circa dieci ore di strada; collegamento che valse ad aiutare come ci fu possibile queste bande, quando furono attaccate da reparti tedeschi. Avendo infatti avuto una richiesta di rinforzi e non potendone inviare perché ci trovavamo ancora in fase preparativa, detti il mio aiuto facendo saltare un ponte sulla Valle Castellana, sul quale i tedeschi avrebbero potuto transitare per prendere definitivamente alle spalle queste bande.”
“Avevamo anche un servizio sanitario svolto volontariamente dal dottor Cesari, noto antifascista.
Intanto si era unito hanno poi un altro capitano che [precedentemente] aveva raggiunto con altri uomini Montalto delle Marche: il capitano Torelli, di Reggio Emilia. Così, insieme ai due capitani e ad alcuni altri ufficiali inferiori ascolani, potemmo ancora meglio preparare i nostri piani d’azione.
La popolazione ascolana era tutta con noi e quelle poche volte che scesi in città in pieno giorno e in divisa (lassù eravamo tutti in divisa e organizzati militarmente,grazie al materiale che avevo potuto trovare nei capaci magazzini del 49′ Fanteria), fui fatto segno della più viva accoglienza e ammirazione. Alcuni signori ascolani si misero completamente a mia disposizione, [così come] alcuni magistrati e qualche ufficiale superiore. Questi ultimi però (…) si tennero prudentemente nell’ombra, senza uscirne fuori per tema di venire coinvolti e rischiare qualcosa. Una commissione bancaria mi fece addirittura sapere che se avessi avuto bisogno di danaro non dovevo far altro che chiederlo, e a mia disposizione ci sarebbero state forti somme. Io però rifiutai [quei soldi], dicendo che i miei volontari non avevano bisogno di alcuna decade o stipendio e che di viveri ne avevano a sufficienza. Intanto, il colonnello Miani si era eclissato totalmente dalle scene cittadine e metteva in giro voci che dicevano che egli aveva raggiunto le bande armate e ne aveva assunto il comando, d’accordo con il colonnello Santanchè. Tali voci furono da me smentite (…), [tanto che ebbi a dichiarare] che la persona meno adatta a tale incarico era proprio il colonnello Miani, a causa di tutti quelli errori grossolani da lui commessi in quel periodo. pagliarulo
Avevo sempre bisogno di armi, poiché la banda aumentava continuamente. Gli uomini infatti non venivano più da soli, ma a gruppetti di tre o quattro e perfino di dieci persone, che noi immettevamo nelle file di quella che era ormai la brigata dei patrioti piceni del governo Badoglio, dopo aver fatto loro una morale e fatto prestare un giuramento. Per [avere] tali armi fui alloracostretto a rivolgermi a qualche autorità e un giorno,credo il 29 settembre, mi recai dal tenente colonnello Carlesi, comandante dei RR.CC. (…). [Egli] mi fece grande accoglienza e rallegramenti, ma quando si trattò di cedermi alcune armi che sapevo in suo possesso e a lui e ai suoi uomini inutili, me le rifiutò, dandomi assicurazione che esse sarebbero servite per lui e per i suoi uomini nel momento in cui io l’avessi ritenuto opportuno e nel caso in cui fossimo stati attaccati dai tedeschi. Inoltre, egli non volle consentire a farmi rilasciare dalla stazione dei Reali Carabinieri di Comunanza un quantitativo di 16.000 colpi calibro 6.5, due fucili mitragliatori è una trentina di moschetti, adducendo le ragioni che quello era un gioco pericoloso, malgrado io stesso gli avessi proposto di fingere un attacco delle mie bande [alla caserma] e gli avessi fatto sapere come già fossimo d’accordo con il maresciallo comandante la stazione. Due giorni dopo,tali armi e munizioni vennero prese dai tedeschi su informazioni che non dubito furono procurate loro da qualcuno che voleva in tal modo liberarsi delle mie insistenti richieste, continuate anche attraverso una persona di fiducia.”
“Intanto, ad Ascoli i fascisti avevano rialzato le loro teste e collaboravano con il Comando Tappa tedesco, fornendo ad esso tutte le informazioni sui nostri movimenti e sulla dislocazione dei vari magazzini di alimentari, nonché [indicando] i nomi di note personalità antifasciste. Uno di questi fascisti (un irriducibile, noto assassino e delinquente), Menghi Adriano, appartenente all’OVRA, fu da me prelevato, in pieno giorno e in pubblica via, e condotto al nostro comando sul Colle San Marco. Questo fatto fece calmare alquanto i fascisti, ma non i parenti di costui, i quali, da quel momento, incominciarono a dare fastidio un po’ a tutti, in modo da indurre i tedeschi ad attaccarci. Facemmo un sommario interrogatorio al nostro prigioniero, da cui risultò come egli fosse in procinto di abbandonare l’Italia per la Germania; quindi lo tenemmo, con tutta la cura possibile, con noi, sorvegliato in permanenza sotto una tenda, avvertendo la sua famiglia che non gli avremmo torto un capello, purché fossimo stati lasciati in pace e non minacciati da un attacco tedesco.
Di questo rapimento, la cittadinanza tutta ci fu riconoscente e le stesse pavide autorità ci fecero sapere, a mezzo di emissari, di tenere ben guardato quel tizio pericoloso, perché se avessimo commesso la sciocchezza di rilasciarlo, egli avrebbe potuto procurare loro molti guai. Intanto, in città la milizia si era ricostituita grazie ad alcuni elementi facinorosi, così pure la federazione fascista, con il federale Lorello di Fermo, spalleggiato da Roscioli e Cioccoli. A podestà fu messo lo squadrista, anch’esso dell’OVRA, Mario Galanti.
La banda, dopo dieci giorni circa dalla sua formazione, contava sei-settecento uomini (…), [tra i quali c’erano anche] sessanta prigionieri americani, che tutta la popolazione aveva indirizzato sulla Montagna dei Fiori, [nonché] qualche carabiniere riuscito a fuggire dalla caserma, malgrado – come mi dissero – il loro comandante ne avesse sbarrato i cancelli e avesse poi spianato contro [di essi] le armi.
Fra tutti questi avvenimenti, arrivammo al 2 ottobre, giorno in cui si rivelò in pieno la minaccia che ci sovrastava (…). Fui infatti avvertito telefonicamente che reparti autocarrati tedeschi ci stavano aggirando, attestandosi alle basi della Montagna dei Fiori, ad est, presso Folignano, e ad ovest, da Castel Trosino. Ci mettemmo in allarme, furono mandate delle pattuglie in avvistamento e una di queste, verso le ore 16, si scontrò con una camionetta [tedesca] che, presa sotto il fuoco, venne messa fuori combattimento. I tedeschi riportarono diversi feriti, che furono visti [mentre venivano] caricati su di un’auto ambulanza (…). Alcuni civili cercarono inoltre di far rotolare il veicolo colpito sulle sponde del fiume Castellano. Poi la pioggia ed il maltempo, che imperversarono tutta la notte, tennero i tedeschi al riparo e ancora lontani da noi.
Si vegliò tutta la notte in giro per i vari gruppi armati e verso l’alba dovetti constatare che parecchi tra i più giovani e timorosi avevano abbandonato il loro posto e con loro, purtroppo, si erano allontanati anche due ufficiali, i sottotenenti Mario e Dino Pagliari, che io avevo messo al comando di un caposaldo dominante la strada carrozzabile che dalla città sale al Colle San Marco, onde impedire che le camionette armate potessero giungere nella zona dove avevamo la maggior parte del nostro materiale. Con tutti i rimasti (circa tre o quattrocento uomini), mi ritrovai a giorno fatto, quando i tedeschi, con le loro artiglierie piazzate su di un’altura prospiciente (il Colle San Giorgio di Rosara), iniziarono un intenso fuoco, concentrandolo su di una zona ove credevano ci trovassimo accampati e che invece avevamo abbandonato durante la notte. Truppe tedesche appiedate (all’azione presero parte circa cinque-seicento uomini) incominciarono poi a salire verso le nostre posizioni con tutta sicurezza, perché guidate dai fascisti della zona, buoni conoscitori dei luoghi.
Mio padre, che aveva voluto rimanere assolutamente vicino a noi, data la sua età avanzata lo feci allontanare dalla zona, per trarlo fuori dal combattimento che si avvicinava.” 0538C0ED-EEEB-4121-BFEF-DB6DC45B4BAE
“Le nostre forze tenevano i vari punti di accesso alla Montagna. Esse erano state quindi forzatamente sparpagliate dopo che avevo dato loro precisi ordini su come dovevano comportarsi (…). [Gli ordini] erano di non far fuoco fino a quando i tedeschi non fossero giunti a tiro più sicuro, affinché non si rivelassero anticipatamente al nemico le nostre posizioni. Intanto, io seguitavo a rimanere attaccato al telefono, onde avere sempre più precise notizie dalle zone di Folignano e di Castel Trosino ne per comunicare con i posti più in alto, dove si trovavano i due capitani e degli altri ufficiali con i loro uomini. Verso le 11, i tedeschi si erano avvicinati di molto e venivano avanti facendo partire di continuo raffiche di mitragliatrice, alle quali però i miei uomini nascosti non rispondevano, finché non vi furono costretti. Infatti, mentre ero ancora al telefono presso il comando (ove mi davano notizia che ad Ascoli i tedeschi avevano fatto irruzione a casa mia e l’avevano tutta devastata dopo aver preso alcune mie fotografie), sentii le prime scariche dei nostri fucili e di un fucile mitragliatore. Le artiglierie sparavano sempre qua e là, a casaccio, riuscendo soltanto a distruggere qualche tenda ed alcuni posti di rifornimento.
Io, con i miei uomini, rimasi nella zona del Colle San Marco sino alle 13, ora in cui decisi, dopo aver portato via quanto più si poteva dal magazzino, di abbandonare il nostro quartiere e di ritirarci più sopra, verso alcune rocce da cui provenivano degli spari. Per correre [più velocemente] nella direzione di questi spari con una quindicina di uomini fra i migliori, affidai ad altri più lenti il prigioniero, con l’ordine preciso e categorico di ucciderlo qualora egli avesse tentato di fuggire e qualora [il gruppo] si fosse trovato in pericolo estremo. Purtroppo, però, questi miei ordini non furono eseguiti, perché gli uomini, intimoriti dalle minacce e lusingati dalle promesse del prigioniero, lo ricondussero a notte inoltrata a casa sua.”

” Tratto in inganno dai colpi caratteristici di un fucile mitragliatore [italiano], io mi ci diressi, così da andare a cadere in un’imboscata involontaria su di un tratto della montagna completamente scoperto con tutti i miei quindici uomini, a causa di un reparto tedesco che di quel fucile mitragliatore, caduto nelle sue mani, si stava servendo contro una mia pattuglia mandata in precedenza avanti. La nostra situazione era critica: eravamo accerchiati su una zona scoperta (…) e quindi si ebbero i primi feriti, i quali cominciarono a lamentarsi del dolore, così da gettare il panico fra gli altri. Non vedendo alcuna via di scampo se non la fine sicura, [i miei compagni] si trovarono di colpo in piedi a chiedere la resa, sventolando fazzoletti bianchi.
Eravamo perduti. Sapevo la mia sorte e non ignoravo certamente quella di coloro che si davano prigionieri. Cercai di farlo capire ai miei, dicendo che quello che stavano facendo equivaleva a firmare la propria condanna a morte; ma a nulla valsero le mie grida disperate di continuare a far fuoco. E allora, risoluto a giocare il tutto per tutto pur di non darmi prigioniero, mi alzai anch’io con le braccia in alto, ma invece di scendere per incontrare i tedeschi più vicini (a circa trecento metri), incominciai ad indietreggiare per poter guadagnare una gibbosità del terreno che mi avrebbe coperto dal loro tiro. I tedeschi , accortisi della mia manovra, mi spararono appresso, ma fortunatamente a vuoto, cosicché, carponi, riuscii a mettermi al sicuro. Allontanandomi, mi scontrai con altri tedeschi, i cui colpi non mi raggiunsero e a cui risposi con la mia rivoltella. Tutto questo si svolgeva verso le ore 16 del 3 ottobre.”
Girovagai ancora, cercando di congiungermi, orientandomi con gli spari che sentivo ancora rintronare per tutta la montagna, con i miei gruppi, ma non mi fu possibile. Venne quindi la notte è la passai tutta nascosto vicino alle rive del fiume Castellano, fra i cespugli. Poi, alle prime ore del giorno, mi riportai verso la Montagna, perché speravo di giungere a San Giacomo, una località a mille e cento metri ove sapevo di poter trovare i capitani Pigoni e Torelli. Girai moltissimo, evitando da lontano i tedeschi e valendomi della mia conoscenza della Montagna, ma purtroppo rintracciai soltanto alcuni corpi, qua e là, di miei patrioti trucidati e seviziati a colpi di baionetta.
Altri [miei compagni] erano stati completamente sfracellati a colpi di sassi gettati con forza su di loro. Trovai pure parecchi elmetti tedeschi appartenenti a quei morti e a quei feriti che i loro camerati avevano avuto la cura di trasportare via (feriti e morti che erano oltre cento, secondo quanto si venne a sapere in seguito dagli abitanti di Folignano, i quali poterono assistere, nascosti, al caricamento di ben cinque autocarri pieni).
Tutto considerato, non mi rimaneva altro che ritornare in città, onde sapere qualche cosa di preciso da gente fidata. Venni così a sapere – era il giorno 5 ottobre – che quasi tutti i miei collaboratori erano stati (…) arrestati, perché i fascisti (tra cui Menghi, Costantini Guido e Nazzareno, il maggiore Pavia, comandante la Milizia, i fratelli Pavoni, Olori Umberto con il figlio Pasquale, lo Stella è il Bruno, della federazione fascista) li avevano indicati ai tedeschi. Appresi pure che mio padre era stato tratto prigioniero dai tedeschi in quella famosa domenica in montagna e condotto davanti al loro comandante (…) [I tedeschi tentarono di] obbligarlo a scrivermi una lettera nella quale mi si ingiungeva di scendere e di prendere il suo posto, altrimenti egli sarebbe stato fucilato. Mio padre fieramente rispose che non avrebbe fatto mai una cosa simile e che piuttosto era pronto a morire, ma mai avrebbe firmato la condanna a morte del proprio figlio, il quale aveva agito per il bene della Patria rovinata da quei fascisti che ora lo volevano morto. Di fronte al suo preciso e fiero comportamento, il comandante tedesco (un maggiore che voci comuni davano per antinazista), preso da viva ammirazione, rinunziò a giustiziare mio padre tra le proteste dei fascisti suindicati e ne decise il trasferimento da Ascoli, facendolo condurre via su di un autocarro per ignota destinazione (rimasta tuttora ignota, non avendone io avuta ancora alcuna notizia).”
“Ormai, i patrioti scampati sì erano tutti eclissati, dopo aver lasciato sul terreno il purissimo sangue di circa quaranta uomini e nelle mani dei tedeschi una trentina di prigionieri (…). Alcuni di questi riuscirono però a fuggire e a ritrovarmi dopo qualche tempo, quando mi rimisi nuovamente al lavoro per cercare di rintracciare tutte quelle armi che gli scampati avevano potuto nascondere. Quindi, mantenendo i nostri contatti senza riunirci e tenendo nascoste le armi presso di noi, ognuno prese il suo posto pronto a rientrare in azione al momento opportuno. Parecchi giovani entrarono a far parte della Milizia con il preciso incarico di raccogliere informazioni e di trafugare tutto quanto possibile in fatto di armi e materiali.
I fascisti ricominciarono a spadroneggiare sul popolo, commettendo soprusi che culminarono con l’uccisione di un ragazzo diciassettenne, figlio di un certo Franchi di Teramo, che si era trovato ad Ascoli nel momento in cui i fascisti bloccarono le strade per rastrellare tutti quei giovani che non si erano presentati alla chiamata dell’ultimo bando per il servizio del lavoro e per poi consegnarli ai tedeschi. Questo ragazzo, volendo tentare la fuga, fu preso sotto il fuoco dei fucili fascisti, restando subito cadavere. Per gli altri giovani che sfuggirono a quei rastrellamenti, i fascisti adottarono il sistema di arrestare i loro genitori, consegnandomi ai Carabinieri Reali o rinchiudendoli nel campo di concentramento per politici di Servigliano (…). Questo accadeva alla metà di ottobre. I fascisti, poi, iniziarono altri rastrellamenti riguardanti i vari depositi di viveri del Regio Esercito che noi avevamo pensato di occultare, decentrandoli presso magazzini privati. Tali ordini furono dati dal federale in persona ed eseguiti da Menghi e da altri. Il 28 ottobre, essendo stato dato l’ordine di esporre nei pubblici uffici la bandiera tricolore, si videro gruppi di più accaniti fascisti che, armati di forbici, andavano tagliando lo stemma sabaudo da tutte le bandiere che lo portavano. Questo fatto suscitò l’indignazione generale specialmente verso i carabinieri, i quali senza minimamente intervenire lasciarono che i fascisti, sotto i loro occhi e quelli del loro comandante, mutilassero la bandiera che sventolava all’entrata della loro caserma.
Nel frattempo, dato che avevano messo una taglia su di me (…) e che ero ricercato da tutti gli organi fascisti che avevano anche una mia fotografia, io mi eclissai, iniziando un lungo giro in cui potetti farmi un’idea di quello che era l’armamento [dei patrioti] della zona picena (…). Venni così a conoscenza della costituzione di bande armate a Montemonaco, Monte Ascensione, Rotella, Porchiano e Visso (…).”