La celebrazione del 3 ottobre 1943 nelle parole del Presidente provinciale dell’Anpi Pietro Perini
Ottobre 3rd, 2020 Nessun commento »Alla presenza delle autorità civili e militari, convenute sul Colle San Marco per rendere omaggio alla memoria degli eroici Partigiani ascolani caduti con le armi in pugno nello scontro con le preponderanti forza nazifasciste, il nostro Pietro Perini, Presidente provinciale dell’Anpi, ha ricordato, con belle e semplici parole, il supremo sacrificio dei giovani eroi, a cui chiedere scusa per il triste epilogo politico della nostra regione.
Riproduciamo il testo del suo intervento.
Buongiorno, a nome dell’ANPI Provinciale porgo il benvenuto a tutti i presenti, alle autorità civili, militari, religiose e a tutte le associazioni combattentistiche.
Un saluto al nostro Sindaco cui vanno gli auguri dell’ANPI Provinciale per una pronta guarigione.
Oggi non siamo tutti, tra di noi, per la prima volta, non c’è più il faccione sorridente del nostro caro Luigino Nespeca. Ci manca oggi come ci mancherà per sempre.
Sono felice di scorgere i volti delle persone che desideravo vedere, non saluto nessuno in particolare, volutamente. Perché non voglio identificare la vostra presenza come rappresentanza di una forza politica bensì come dovrebbe recitare il primo punto dell’ordine del giorno di questo 3 ottobre: per prima cosa siamo tutti antifascisti.
Nei giorni scorsi mi sono chiesto spesso: ma che andiamo a fare a San Marco? E’ il 3 Ottobre! E allora? Quante volte siamo saliti quassù! Il 3 Ottobre, il 25 Aprile! Io ho sempre pensato che venire fin qui, in queste date, significasse immergersi, almeno per qualche istante, in un momento di riflessione, per capire che cosa animò questi nostri Partigiani, che cosa li spinse a lottare fino all’estremo sacrificio, quanto costò renderci Liberi, quanto costò fare dell’Italia una nazione Democratica, quale fu l’inchiostro usato per scrivere la nostra Costituzione!
Invece mi accorgo che ogni volta, siamo venuti fin qui con lo stesso spirito con cui andiamo al Cimitero a trovare i nostri cari: bisogna farlo, è una consuetudine, non sta bene, anche per gli altri: che brutta cosa quella tomba senza un fiore. Ma anche in quelle occasioni, davanti a quelle tombe, quel famoso momento di riflessione non scatta: nella nostra mente non riaffiorano gli insegnamenti ricevuti da chi non c’è più, non cerchiamo di fare un mini esame di coscienza per capire se i nostri comportamenti ricalcano quegli insegnamenti. Un bacio tirato con la mano e … ci vediamo la prossima volta!
Io comunque oggi, un motivo per venire quassù l’ho trovato: io sono venuto a chiedere scusa!
Caro Babbo, caro William, caro Narciso, caro Serafino, caro Alessandro, caro Adriano, cari tutti voi Partigiani di Colle San Marco e di tutte le Marche, io vi chiedo scusa.
Vi chiedo scusa perché vi abbiamo assassinato una seconda volta, vi chiedo scusa perché stiamo uccidendo la nostra Democrazia, vi chiedo scusa perché stiamo uccidendo la nostra Libertà, vi chiedo scusa per non aver seguito i vostri insegnamenti, vi chiedo scusa per non aver fatto come faceste voi che capiste subito che solo l’unità poteva sconfiggere un nemico molto più forte ma vi chiedo scusa soprattutto per aver fatto in modo che un fascista abbia messo le mani sulla vostra terra.
La cosa che mi lascia più allibito è che ora, dopo la catastrofe, sento parlare di analisi del voto, che bisogna capire dove abbiamo sbagliato, che cosa abbiamo sbagliato, di chi è la colpa. Ma le risposte a queste domande si danno in trenta secondi! Inutile nascondersi dietro il famoso dito! Cosa abbiamo sbagliato? Tutto. Dove abbiamo sbagliato? Ovunque. Chi ha sbagliato? Tutti. Continuiamo a leccarci delle ferite che non ci siamo fatte 15 giorni fa. Esse sono vecchie di anni e non siamo mai stati capaci di guarirle.
Vorrei proprio vedere, se per un attimo comparissero i vari Cinelli, Cellini, Panichi, Galiè, Scalabroni, mio padre Spartaco, chi di noi avrebbe il coraggio di guardarli negli occhi!
Vedete, noi abbiamo fatto l’errore di pensare alla gente semplicemente come una moltitudine di persone, abbiamo parlato al loro cervello e con promesse e belle parole abbiamo pensato di poter manipolare le loro menti ma ci siamo dimenticati che la gente ha anche un cuore e che è proprio il cuore che genera sentimenti e permette di farti capire se un’altra persona ti vuole bene e se di questa persona ti puoi fidare. Noi non abbiamo saputo parlare a questi cuori.
E pensare che prima di iniziare ad occuparci solo dei nostri interessi, eravamo bravissimi nel parlare ai cuori delle persone. Ci stavano a cuore i loro problemi e ci sapevamo battere per i loro diritti, di quelli dei lavoratori e anche di quelli che un lavoro non l’avevano, stavamo in mezzo a loro, li incontravamo per strada e parlavamo con tutti. Per strada vendevamo anche i nostri giornali: uno di questi si chiamava l’Unità, guarda caso! Non pensate sia ora di riprendersi quelle strade, di tornare ad ascoltare e a parlare con quella gente!?
Che fare allora? Penso che la cosa migliore da fare sia tirare una bella linea, tirare quella famosa somma che implacabilmente porterà zero e ricominciare, nel vero senso della parola, da questo zero.
Tutto ciò che la gente vuole sentirsi dire, che potrà finalmente aprire il suo cuore, che la spingerà di nuovo a fidarsi, è già tutto scritto. Vogliamo fare in modo di realizzarlo una buona volta? Si chiama Costituzione.
Andiamoci a leggere la nostra Costituzione ed immaginiamo una Nazione che rispetti quello che vi è scritto: sarebbe il Paese più bello e felice del Mondo. Certo, non è un compito facile ma è un’arma potente con la quale possiamo ricominciare. Finora, al contrario, abbiamo pensato addirittura che fosse di intralcio alle nostre manovre, al nostro modo di fare politica e la via d’uscita è stata: cambiamola! Già cambiarla piuttosto che attuarla! A metterla in pratica non ci abbiamo mai provato, nessuno ci ha mai provato, è ora di farlo! La prova è sotto gli occhi di tutti: se avessimo applicato la nostra Costituzione un fascista che partecipa alla rievocazione della Marcia su Roma, non si sarebbe potuto nemmeno candidare.
Per farlo ci vogliono passione, onestà, rettitudine e un pensiero costante ai nostri figli e alle generazioni future verso le quali siamo obbligati a fare in modo di consegnare intatti gli stessi doni che ci fecero i nostri Partigiani. Ma per farlo dobbiamo anche sempre tenere a mente il nostro passato, le nostre radici che affondano nella Resistenza, generatrice proprio della nostra Costituzione, perché vedete l’inchiostro usato per scriverla è stato il sangue della nostra gente, delle nostre Partigiane, dei nostri Partigiani e dei nostri militari. E allora ricominciamo. Ricominciamo da zero, ricominciamo da oggi, perché Colle San Marco è il miglior posto per ricominciare.
3 ottobre 1943. A Colle San Marco gli eroici eventi della Resistenza ascolana
Settembre 29th, 2020 Nessun commento »A pochi chilometri da Ascoli Piceno si trova la frazione di Colle San Marco, baluardo naturale che controlla la via Salaria e la via Adriatica. Tenuto da truppe munite di mezzi adatti, esso sarebbe potuto diventare una fortezza inespugnabile e per questo sul Colle si diressero i giovani antifascisti ascolani, il 13 settembre 1943, dopo gli scontri in città. La sera precedente, il sottotenente degli alpini Spartaco Perini insieme a noti antifascisti si riunirono e stabilirono di proseguire la lotta appena iniziata ad Ascoli, proprio sul San Marco. La voce si diffuse, e la mattina seguente la
zona cominciò a riempiersi di soldati e civili. Probabilmente ci si illudeva che sarebbe stato impossibile prendere Ascoli senza prima prendere quel colle. Solo che quei soldati, male armati e male organizzati, non erano certamente idonei a difendere né la montagna né la città e così nel corso della notte si sbandarono, sciolsero le fila e alcuni tornarono a casa, altri provarono a raggiungere il sud Italia.
Dal 14 settembre Perini iniziò ad organizzare il nucleo di uomini rimasti, raccogliendo materiali e armi abbandonati dai soldati. La sera del 16 settembre si recò sul San Marco il cap. Tullio Piconi che con Perini assunse il comando di questo nucleo centrale di futuri partigiani, che non superò mai i 50 uomini. Oltre a loro, con il passar dei giorni, giunsero sul Colle anche molti ex prigionieri alleati, fuggiti dai campi di concentramento. Presto il San Marco divenne il rifugio di tutti, creando a Perini e agli altri ufficiali problemi di sussistenza e di assistenza: erano necessari vestiti, tende, coperte, ma anche ordine e disciplina. Si formò così un comitato cittadino di antifascisti e tra la città e il Colle si venne a creare una certa collaborazione.
Il 22 settembre, su richiesta dei partigiani di Bosco Martese, gli uomini del San Marco fecero saltare in aria il ponte di Castel Trosino. L’artificiere sarà fucilato dai tedeschi il 5 ottobre. Il 23 settembre Perini rapì un noto “ras” locale e si rifiutò poi di liberare il prigioniero, su richiesta dei membri del Comitato Civico. La sera del 29 settembre i tedeschi avevano condotto a termine l’azione contro gli uomini di Bosco Martese, località ai confini tra le provincie di Ascoli e Teramo, e non c’era motivo di dubitare che, prima o poi, si sarebbero rivolti anche contro il Colle.
Nel pomeriggio del 2 ottobre, nei pressi di Porta Cartara, ci fu uno scontro tra alcuni ragazzi del San Marco edei soldati nazisti. Durante la notte si susseguirono notizie allarmanti su un’imminente azione di accerchiamento che i tedeschi stavano intraprendendo: ≪Io ero appena una ragazzina e abitavo a Carpineto, dove vidi il passaggio dei tedeschi che andavano ad attaccare il San Marco – ricorda Gina Vagnoni. La notte del 2 ottobre passarono, infatti, diverse colonne di camion tedeschi lungo la strada, mentre il giorno successivo tutto il paese fu invaso da gruppi di soldati che, a piedi, si dirigevano verso la montagna≫ (Battistini, Di Sante 2003, p.69). In effetti una camionetta tedesca con mitragliera aveva cominciato a battere la campagna nel tardo pomeriggio per poi fermarsi con il sopraggiungere del buio. Durante la notte giunsero notevoli rinforzi e vennero piazzate artiglierie naziste lungo i colli dai quali si poteva colpire facilmente il San Marco, facendo cadere il presupposto tattico dei partigiani.
All’alba del 3 ottobre un intero battaglione di esperti paracadutisti della divisione Herman Goering attaccarono il rifugio di San Giacomo e circondarono il Colle. Iniziò una cruenta battaglia che fu interrotta da un provvidenziale terremoto intorno alle dieci della mattina. Ma lo spavento dovuto all’evento sismico durò poco e già prima di sera ricominciarono i combattimenti. Molti partigiani ne avevano approfittato per fuggire, quelli che erano rimasti combatterono e resistettero finché poterono, poi si ritirarono di fronte all’offensiva tedesca. I due capitani e una trentina di uomini raggiunsero il versante abruzzese. Alle Rocce e alle Vene Rosse, gruppi isolati si difesero strenuamente prima di essere catturati e condotti al Forte Malatesta. Da lì, il giorno successivo, furono trasferiti in un campo di concentramento di Spoleto, per poi essere deportati in Germania. Serafino Ficerai, uno dei primi ad unirsi alla banda, si salvò miracolosamente gettandosi in un burrone: ≪Era un inferno: le bombe riducevano in polvere le rocce delle Vene Rosse e la terra intorno a noi tremava come se fosse scossa da un terremoto. Mano a mano, vedevamo il loro tiro farsi più accurato e il cielo sopra di noi segnarci di razzi rossi e verdi, lanciati per segnalare la nostra posizione agli artiglieri. Intanto, il gruppo che ci aveva sparato per primo, stava avanzando velocemente verso di noi ed era ormai così vicino che giungemmo a lanciargli contro le nostre bombe a mano. Era la fine: inchiodati dietro il riparo di sacchi di sabbia, decidemmo di giocare l’ultima nostra carta. Ci lanciammo allo scoperto buttandoci giù da un burrone. Tra rovi, cespugli e alberi, rotolammo per circa venti metri e ci andò bene≫ (Battistini, Di Sante 2003, p.69).
Il 5 ottobre i tedeschi fucilarono sedici prigionieri. Complessivamente nell’attacco al Colle San Marco caddero una trentina di uomini. Nella sera si ricostituì in città una locale federazione fascista.
Per non dimenticare, negli ultimi anni è stato progettato un Sentiero della Memoria seguendo il quale si possono ripercorre tutti i luoghi della battaglia. Si parte dal Pianoro di Colle San Marco, dove c’è il monumento dedicato a quanti persero la vita tra il settembre e l’ottobre 1943. Sulla targa c’è scritto: ≪Quassù più vicino a Dio per la libertà di tutti gli Italiani i Patrioti ascolani nelle epiche giornate 3, 4, 5 ottobre 1943 calpestando il tradimento dei nazifascisti per primi iniziarono la lotta Partigiana; eroi purissimi col sangue scrissero il loro nome nella storia del mondo libero≫ (Pompozzi 2010, p.9). Per arrivare, dopo una bella camminate di un paio d’ore, al cippo che ricorda l’uccisione dei partigiani del 3 ottobre, in prossimità della SP76 per San Giacomo.
Frammento di intervista William Scalabroni, tratto da ARCHIVI DELLA RESISTENZA
Quel 12 settembre 1943
Settembre 12th, 2020 Nessun commento »Alla presenza dei rappresentanti della Provincia e del Comune di Ascoli Piceno, delle Associazioni d’Arma e dell’Esercito, abbiamo inaugurato stamani la nuova lapide agli eroici avieri caduti negli scontri del 12 settembre 1943 nel quartiere dei Ss. Filippo e Giacomo di Ascoli Piceno. L’Anpi ascolana, presente con il proprio Medagliere, ha reso omaggio ai caduti ricordando, nel discorso del segretario provinciale Marco Morganti, gli eroici fatti del primo scontro avvenuto tra civili e militari italiani contro l’esercito tedesco.
La delegazione ha quindi deposto una corona d’alloro alla ex Caserma Vecchi, in corso Vittorio Emanuele, ove è apposta la lapide in memoria della giovane Concetta Cafini, di anni 23, caduta sotto il piombo degli occupanti nazisti, e in corso Mazzini, all’ex caserma Umberto I, ove i militari risposero al fuoco degli aggressori tedeschi. Quel giorno perse la vita, colpito a morte da una raffica sparata da un blindato tedesco, il giovanissimo Adriano Cinelli, di appena 16 anni, eroe ascolano che pagò con la vita il suo desiderio di libertà e di giustizia contro l’oppressione nazi-fascista.
Il 12 settembre 1943 il primo scontro contro gli occupanti tedeschi da parte di civili e militari di stanza ad AscoliPiceno
Settembre 9th, 2020 Nessun commento »Quel 12 settembre 1943 ad Ascoli Piceno, il primo scontro contro l’esercito tedesco da parte di civili e militari italiani
Già nella sera dell’11 settembre cominciarono a circolare in città voci confuse di reparti tedeschi in marcia lungo la Salaria e diretti da Rieti ad Ascoli. Si parlava, addirittura, di una divisione corazzata.
I tedeschi entrarono in città il giorno successivo, il 12 settembre. Erano circa le 10 quando, da Porta Romana, giunse ad Ascoli un reparto motorizzato che si frazionò in più gruppi. Si trattava della 2’ Compagnia autoveicoli del comando di Roma della Kriegsmarine, un’unità di servizi della Marina militare che, pur non essendo destinata a svolgere principalmente compiti di prima linea, era tuttavia dotata di automezzi blindati, mitragliere pesanti e cannoncini a tiro rapido.
Il primo attacco fu diretto contro la caserma Vecchi: fu distrutto il centralino, disarmati i soldati e gli ufficiali, presi come prigionieri il ten. col. Perna e il cap. Camilli.
Intorno alle 11, guidati dal tenente Ludwig Hoffmann, i tedeschi si diressero verso la caserma Umberto I, sparando e pretendendo la resa dei soldati italiani. Il tenente Cleto Capponi, che si trovava nell’ufficio comando, ricorda che: si udirono intimazioni tedesche accompagnate da qualche raffica di arma automatica, alle quali rispose immediatamente il fuoco delle armi già appositamente piazzate nella caserma, a sbarramento degli accessi. I tedeschi probabilmente non si attendevano una resistenza organizzata e puntavano ad una resa più o meno immediata del comando. Invece il comandante del 49° Rgt. Fanteria, il colonnello Santanchè, pur nella confusione di quei giorni, aveva organizzato la difesa della caserma. Ne seguì uno scontro violento nel quale persero la vita il sergente Lepori e il sottotenente Luciano Albanesi. Nelle file nemiche trovarono la morte lo stesso tenente Hoffmann ed alcuni soldati tedeschi.
Mentre lo scontro alla caserma era ancora in corso, il reparto tedesco più numeroso si era messo in marcia verso le Casermette funzionali di San Filippo e Giacomo dividendosi in due colonne.
I tedeschi non potevano prevedere che un gruppo di partigiani pronti ad aprire il fuoco era già posto all’altezza del passaggio al livello, gli avieri erano allineati a difesa dell’ingresso della strada e sul cavalcavia della ferrovia, e semplici cittadini erano armati e appostati tra le case e sopra i tetti. Nel conflitto a fuoco che seguì vi furono diverse decine di feriti e caduti da entrambe le parti.
A fine giornata, tra la popolazione ascolana si contarono due caduti: una giovane donna, Concetta Cafini, colpita accidentalmente da una pallottola vagante nei pressi della Caserma Umberto I, e il diciassettenne Adriano Cinelli, ferito a morte davanti al Distretto da una raffica partita da un automezzo tedesco di passaggio che, qualche istante prima, era stato fatto segno al fuoco dei civili.
Il 12 settembre 2020 alle ore 9:00, presso il sottopasso ferroviario a SS. Filippo e Giacomo, verrà inaugurata la targa rinnovata in onore degli avieri caduti per la Patria e la Libertà, tutti decorati con Medaglia d’Argento al Valore Militare: Gaetano Barrile, Antonio, D’Urso, Giuseppe Faienza, Giovanni Verbale.
A loro il nostro fraterno abbraccio.
LA CITTADINANZA È INVITATA A PARTECIPARE.