Il 16 giugno in contrada Monte a Castignano, per ricordare Luigi Cicconi, Emidio Lucidi., Giuseppe e Domenico Villa, trucidati dai tedeschi in fuga il16 giugno 1944

Giugno 16th, 2022 Nessun commento »

Questa mattina una delegazione dell’ANPI provinciale si è recata a Castignano (AP), al bivio per la frazione di Capradosso, per commemorare il sacrificio degli ostaggi fucilati dai tedeschi in ritirata il 16 giugno del 1944: Luigi Cicconi, Emidio Lucidi, Giuseppe e Domenico Villa. 134E747A-A480-4BC6-BDB6-0D4F2834B021

Molto spesso, a ricordare i fatti e i misfatti degli uomini, anche quando l’ultimo dei testimoni viventi è scomparso, resta un altro genere di creature, viventi anch’esse, ma non dotate di linguaggio, almeno non quello che siamo abituati a discernere con le nostre comuni facoltà intellettuali: sono gli alberi che, al contrario dell’uomo, possono tramandare anche per molti secoli la memoria di ciò che hanno visto.
Uno di questi, è una grande e maestosa quercia, radicata in contrada Monte, comune di Castignano.
La pianta non raggiunge le dimensioni paradossali di alcune sue simili, essendo dotata di fusto di “soli” m. 3,52 di circonferenza, sormontato da un’interessante chioma di 20 metri di diametro; ma dove non arrivano le dimensioni, suppliscono una figura esteticamente molto apprezzabile, e soprattutto le storie, non tutte belle, ma sicuramente importanti, che essa è in grado di raccontare.
Vi si arriva agevolmente da Castignano, prendendo la strada per Ascoli Piceno. Allorché si giunge al bivio per Capradosso, la quercia ci si para davanti, proprio in mezzo al bivio. EB3B2FC9-BE50-4ADC-8EB3-76DE344180D7
Proprietaria della pianta, è da sempre la famiglia Villa, residente sul luogo ma, a seguito di vari ampliamenti della sede stradale, forse oggi essa entra nella fascia di pertinenza della Provincia.
La pianta, al di là dei tragici episodi di cui è stata testimone, è stata una presenza importante nella vita delle varie generazioni dei Villa, che l’hanno sempre considerata quasi come un membro della famiglia.
La forma del primo palco di rami è curiosa e molto caratteristica, assomigliando a un candelabro. Proprio sopra i bracci di questo candelabro, veniva in passato collocata la “fascinara”, vale a dire una catasta di fascine di legna. La collocazione in quel posto aveva la funzione di favorire l’essiccazione della legna stessa e renderla presto utilizzabile nel camino di casa. EF87370F-1554-44F4-AEF2-5723C5059184
C’era, tuttavia, una seconda ragione, recondita e inconfessata. La legna era, nei tempi passati, l’unica risorsa energetica, per riscaldarsi e per cucinare; pertanto, doveva bastare per tutto l’anno, fino a quando, cioè, non si rendeva disponibile quella proveniente dalle potature dell’anno successivo. Il fatto che la catasta fosse collocata in un posto così difficile da raggiungere, se non con l’uso di una pericolosa scala a pioli, era un incentivo a fare economia, e a far durare quanto più possibile le fascine, una volta prelevate.
Secondo quanto asseriva Francesco Villa, combattente della Prima Guerra Mondiale, deceduto nel 1961, la pianta era già esistente, e di belle dimensioni, all’epoca della sua fanciullezza. Sommando il secolo trascorso dall’infanzia di Francesco, all’età che avrebbe potuto avere una quercia già grande, non si va lontani dal vero se le si attribuiscono due secoli di vita.
Sotto l’ombra della Quercia, un monumento commemorativo invita a tacere e riflettere. Fu proprio in quel punto che avvenne l’episodio più tragico fra tutti quelli cui la pianta dovette assistere nel corso della sua bisecolare esistenza.
Dei numerosi, tragici episodi legati alle lotte della Resistenza e alle susseguenti sanguinose rappresaglie nazifasciste, alcuni oggi vengono ampiamente e giustamente ricordati con grandiosi monumenti commemorativi e annuali cerimonie di richiamo (per ricordare qualche nome: Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Fosse Ardeatine, Boves…). Altri, la maggior parte purtroppo, sono rimasti quasi sconosciuti e, con la scomparsa degli ultimi testimoni corrono il rischio di venire del tutto dimenticati.
Uno di questi episodi “minori”, avvenne, appunto, in località Monte, comune di Castignano.
Era il 16 giugno 1944. Proprio in quei giorni, nel corso di un’azione partigiana, era stato ucciso un soldato tedesco e, come consuetudine e prassi, sulla base degli ordini impartiti da Hitler, il comandante tedesco avrebbe dovuto uccidere dieci italiani per ogni tedesco.
Effettuato il rastrellamento e catturati i primi quattro italiani capitati a tiro, li fece condurre proprio sotto la quercia, dove vennero fucilati. 8E74D0C2-7442-44A6-AC8B-5FE9730CA5F8
Per tutti e quattro, è facile e triste immaginarlo, la grande chioma della quercia, che li avvolgeva con il suo abbraccio materno, fu l’ultima immagine che i loro occhi videro, prima del buio della morte.
Due dei quattro, appartenevano alla famiglia Villa ed uno, Giuseppe, era proprio il fratello di Francesco.
Qualche anno dopo, il 18 maggio del 1950, al termine dell’annuale festa di san Gabriele dell’Addolorata, patrono del luogo, il signor Francesco, che faceva parte del comitato dei “festaroli”, si accorse che erano avanzati dei soldi con i quali egli propose, e ottenne, che venisse eretto, nello stesso punto in cui erano cadute, il monumento a ricordo delle vittime, i cui nomi e i cui volti possono essere letti e conosciuti su una parete dello stesso.
Onore ai Caduti per la nostra Liberazione!

L’Anpi ricorda Giuseppe Donghi e Felice Di Cola, trucidati dai tedeschi a Favalanciata il 15 giugno 1944

Giugno 15th, 2022 Nessun commento »

Questa mattina, a Favalanciata, una delegazione dell’ANPI di Acquasanta Terme, insieme ai rappresentanti istituzionali dei Comuni di Arquata del Tronto e Acquasanta, hanno reso omaggio al cippo che ricorda il sacrificio di Giuseppe Donghi e Fedele Di Cola, trucidati dai tedeschi in ritirata il 15 giugno 1944. 5E2D29E1-C102-4619-A929-566F84935FB7
Il 15 giugno 1944 Giuseppe Donghi era intento al suo lavoro di guardia canale mentre altri civili erano occupati a recuperare della merce rovesciatasi da un furgoncino sulla via Salaria. Passò un sidecar con due tedeschi e, forse pensando si trattasse di partigiani – ma in effetti non lo erano – fermò con le armi spianate quattro di quelle persone tra cui il Donghi e il Di Cola. Dopo aver percorso sulla Salaria diverse 1433B2B1-0DF6-477F-8429-7023E0C03ACDcentinaia di metri, senza motivo, scaricarono su di loro raffiche di mitra. Due degli sfortunati si salvarono buttandosi a capofitto verso il fiume, Donghi – che era alto e grosso – fu colpito al petto e morì immediatamente. Di Cola invece ferito gravemente, forse alle gambe e all’addome fu sentito gridare di dolore per diverso tempo. Ma nessuno ebbe il coraggio di avvicinarsi, finché non morì anche lui. Questa era la logica dei nazisti in ritirata scomposta verso la Germania: uccidere anche senza alcun motivo.

Il 14 giugno ad Offida, in contrada Lava, per ricordare Cesare, Antonio e Luciano Gabrielli

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Questa mattina, una delegazione dell’ANPI provinciale di Ascoli Piceno e della locale sezione di Offida hanno ricordato, insieme alla rappresentanza del Comune, presente con il proprio labaro, i Partigiani della banda Stipa, caduti per mano dei nazisti il 14 giugno 1944, appena due giorni prima della liberazione del territorio da parte dei Partigiani e delle forze armate alleate. 4AB58C9C-BB91-4654-AFE7-70FB9C0E534A

Cesare e Antonio Gabrielli, figli di Nazzareno e Maria Marchetti e Luciano Gabrielli, figlio di Cesare erano sfollati dalla contrada Ragnola alla contrada Lava, dove un loro parente aveva messo a disposizione una modesta casa colonica. Nella zona era situato, presso l’abitazione di Offida dell’ing. Stipa, un ricovero per i soldati alleati fuggiti dai campi di prigionia all’indomani dell’8 settembre. La casa faceva parte dei vari ricoveri sparsi lungo la regione per assistere i fuggitivi e consentire loro di passare le linee nemiche e raggiungere il Sud liberato. Era la famosa “Rat-line”, comandata dal maggiore scozzese Mc Kee. 641643FF-E71D-40E5-86A9-2883A12BB84E

Il 14 giugno 1944, durante la ritirata, truppe tedesche provenienti da Castel di Lama si fermarono a Offida, cercando rifugio nelle case di campagna, pretendendo vitto, alloggio e generi alimentari da portare con sé. Alcuni soldati entrarono anche nella casa dove si trovavano i Gabrielli, proprio mentre Luciano stava cercando di nascondere due bombe a mano che avrebbe dovuto consegnare ai partigiani. A quel punto, tra le grida e le preghiere delle donne, i tre Gabrielli furono prelevati e, insieme ad altri due contadini, fatti incamminare verso Castel di Lama, sotto la sorveglianza di tre SS a cavallo e con le armi spianate. Fermatisi presso una casa colonica per ristorarsi, mentre i tedeschi si rifocillavano, i due contadini riuscirono a fuggire. Presso quella stessa casa i tre giovani Gabrielli, alle prime luci della sera, furono invece uccisi con raffiche di mitra.
Ora e sempre Resistenza!

Il 12 giugno a Ponte Rotto di San Benedetto del Tronto

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Oggi, 12 giugno, in località Ponte Rotto di San Benedetto del Tronto, l’Anpi ha partecipato alla cerimonia in ricordo dei Caduti del 12 giugno 1944, con la deposizione di una corona d’alloro presso il cippo che ricorda il sacrificio di Neutro e Salvatore Spinozzi e del Brig. dei Carabinieri Elio Fileni, fucilati dai nazisti.
Presenti il Sindaco di San Benedetto del Tronto, Antonio Spazzafumo, Associazioni d’Arma e il Presidente della locale Sezione ANPI e vicepresidente provinciale, Antonio Bruni.
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Il 6 giugno ricordiamo Francesco Ciotti, Fausto Simonetti, Eliczer Jacob e Ottavio Baccari

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Questa mattina, una delegazione dell’ANPI ha deposto una corona d’alloro al cippo sulla strada per Venagrande, in memoria del Partigiano Francesco Ciotti, trucidato dai fascisti il 7 giugno 1944.
Successivamente, sulla strada della Bonifica, presso lo stabilimento ex Novico, l’Anpi ha ricordato i Partigiani Fausto Simonetti, Eliczer Jacob e Ottavio Baccari, presso il cippo che ricorda il loro sacrificio di quei giorni di giugno del 1944. 517D993B-5580-4EF1-A904-EFC42051C997
Arruolatosi nel 1939 in Aeronautica come aiutante sanitario, durante la guerra Fausto Simonetti fu mobilitato sul Fronte occidentale e in Libia. Rientrato in Italia nel febbraio del 1943, al momento dell’armistizio si trovava con il suo reparto in provincia di Foggia. Decise di tornare ad Ascoli ed entrò nella Resistenza, aggregandosi ad una formazione composta in gran parte da militari sbandati, che operava a ridosso della città e che il 3 ottobre affrontò, a Colle San Marco, soverchianti truppe tedesche.
Nello scontro caddero venticinque partigiani, quattro furono feriti e sessanta furono fatti prigionieri. Simonetti, riuscito a sottrarsi alla cattura, continuò ad essere tra gli organizzatori della Resistenza locale, curando il collegamento del Comando dell’VIII Armata alleata con le basi delle Marche e dell’Abruzzo. Nel giugno del 1944 il giovane aviere, come è ricordato nella motivazione della Medaglia d’oro, “… attivamente ricercato dai nazifascisti cadeva, per delazione, in un’imboscata. Catturato e sottoposto a minacce e torture, nulla rivelava circa i dislocamenti e l’organizzazione delle forze partigiane della zona. Esasperati dal contegno fiero e sprezzante, i suoi aguzzini lo fucilarono finendolo, mentre agonizzava, a colpi di calcio di fucile. Fulgido esempio di tenacia, sprezzo della vita e di assoluta dedizione agli ideali di Patria e di libertà”.