È per noi motivo di grande soddisfazione riportare l’intervento che Luca Fratini, studente del 4ALQ dell’Istituto Aeronavale “A.Locatelli” di Grottammare, ha svolto a Colle San Marco, nel corso della cerimonia per l’81mo anniversario dell’eccidio dei 37 partigiani e civili inermi seguito agli scontri con i tedeschi e i fascisti il 3 ottobre 1943. La missione dell’Anpi consiste infatti nel trasmettere alle giovani generazioni i valori riportati nella Costituzione italiana, frutto dell’amore per la libertà e la giustizia che un’altra “giovane generazione” di ottant’anni fa seppe affermare fino all’estremo sacrificio della vita. Grazie Luca.
Coltivare la memoria per difendere la democrazia. Le parole di Luca Fratini:
“L’episodio avvenuto a Colle San Marco il 3 ottobre 1943, in piena Seconda guerra mondiale, successivo all’armistizio di Cassibile, è un perfetto esempio della resistenza di un popolo di fronte all’oppressione e al giogo di una potenza straniera, oltre che naturalmente, una testimonianza del coraggio e del sacrificio di chi si oppose al fascismo e all’occupazione nazista, nonostante le difficoltà e i rischi mortali. I partigiani italiani infatti, hanno combattuto fino alla fine contro le forze nazi-fasciste pur di difendere la libertà e l’indipendenza di una nazione ormai sconfitta e dilaniata da una guerra civile scoppiata proprio a seguito dell’armistizio. Pur essendo in assoluta inferiorità numerica, di mezzi, di armamento ed equipaggiamento, i partigiani non hanno smesso di resistere e di lottare contro le forze dell’Asse, a dimostrazione del fatto che se si crede fermamente in un ideale, allora si è disposti a fare qualunque cosa per tentare di realizzarlo, anche a costo della vita…
Purtroppo oggigiorno si tende facilmente a dimenticare questi episodi o più semplicemente non gli si dà la giusta importanza. Ciò è sbagliato poiché le gesta dei partigiani hanno dato un grande contributo per la costruzione della nuova Italia, l’Italia democratica, oltre che per la fine della dittatura fascista instauratasi a seguito dei disordini successivi alla fine della Prima guerra mondiale. La dittatura fascista fino al giorno dell’armistizio ha trasformato l’Italia in uno stato autoritario e privo delle libertà fondamentali che oggi caratterizzano molti stati sia in Europa che nel mondo.
La strage di Colle San Marco è un monito per ricordare che valori come la libertà e la democrazia non devono essere dati per scontati, poiché sono stati conquistati con molto dolore e con fatica, e di conseguenza tali conquiste richiedono impegno e vigilanza costanti. La memoria di questa strage ci insegna a comprendere meglio il presente, a non ripetere gli errori del passato ma soprattutto ci ricorda che la libertà ha un prezzo e che non dobbiamo mai smettere di difenderla, onde evitare l’ascesa di autoritarismi e totalitarismi in grado di minacciarla: lo abbiamo imparato bene grazie alle lezioni della storia e non dobbiamo dimenticarlo.”
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L’ANPI è da sempre presente nelle scuole di ogni ordine e grado per divulgare e trasmettere alle nuove generazioni la storia della Resistenza, unica vera radice della nostra Democrazia, della nostra Libertà e della nostra Costituzione. Un ruolo che svolge con estremo piacere, impegno e soddisfazione. Quando poi le parti si invertono e i relatori della Storia diventano gli studenti tutte queste sensazioni si moltiplicano. È il caso di questa bellissima storia che è venuta a nostra conoscenza grazie alla pronta segnalazione del nostro Sindaco Marco Fioravanti che, riconoscendo i valori cui questa storia si riferisce, ha subito pensato di farne partecipe la nostra Associazione.
Si tratta di una studentessa che ha voluto presentare la sua Tesi di Laurea descrivendo la Resistenza Partigiana nel nostro territorio.
Nessuno meglio della protagonista può descrivere questo bellissimo lavoro e ci pare giusto e doveroso farlo riportando le sue stesse parole:
“Mi chiamo Romina Procaccini, Il 17 luglio ho conseguito la Laurea Magistrale in Scienze Politiche Internazionale presso l’Università degli Studi di Teramo.
La mia tesi dal titolo “IL PARTIGIANO SENZA NOME… La montagna che unisce…la Resistenza tra Ascoli e Teramo” è stata frutto di mesi e mesi di studio e di ricerca ed ha ottenuto in commissione di laurea il massimo dei voti.
Sono nata e vissuta a Campli, un comune della Provincia di Teramo, poi trasferita ad Ascoli Piceno per amore ed è proprio tra le antica mura di Ascoli che ho sentito il bisogno di approfondire, ricostruire e raccontare, nel profondo rispetto dei tanti che hanno studiato e raccontato la Resistenza, un tratto drammatico, ma glorioso e fertile della storia del nostro paese.
Una breve resistenza quella ascolana e teramana, ma che ha segnato il cuore dell’Italia.
Con le mie umili ricerche ed escursioni sono andata a ripercorre le battaglie dei Partigiani che in qualche modo hanno attraversato le mie due province, in particolare le montagne che le uniscono, dalla battaglia di Bosco Martese, fino alle montagne del Piceno con la battaglia di Colle San Marco e le stragi dell’acquasantano.
Ed è al PARTIGIANO SENZA NOME, titolo del mio manoscritto, che riposa tra le centinaia di lapidi del cimitero storico di Ascoli Piceno che voglio dedicare il mio lavoro, onorare il suo nome sconosciuto.
La nostra società in continua accelerazione spesso crea disorientamento, in particolar modo tra i giovani, per cui ritengo che oggi, più che mai, sia importante e necessario tornare a riflettere sui fatti, idee, valori, che hanno costituito una premessa fondamentale per la democrazia.
Questo lavoro lo dedico a mio figlio Lorenzo, di madre teramana e padre ascolano, che viva sempre nel ricordo della storia e mai nella pericolosa amnesia immobilizzante del presente”.
Ti ringraziamo Romina, per il tuo lavoro e per la tua sensibilità ma soprattutto perché ci confermi che i nostri sforzi per trasmettere questi valori ai giovani, non sono vani e tu ne sei la prova.
Infine un grazie al nostro Sindaco per la sua segnalazione e per l’interesse affinché questa bellissima storia non rimanesse confinata nelle aule universitarie.
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È tempo di essere Partigiani e non restare indifferenti. Prendi la tessera ANPI 2024. Contatta le nostre sezioni territoriali (trovi i recapiti sul nostro sito ascolipiceno.anpi.it).
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IL DISCORSO DI PIETRO PERINI, PRESIDENTE PROVINCIALE ANPI
Grazie a tutti per aver preferito Colle San Marco a Praga!!!
Buongiorno e buon 25 Aprile a tutte e a tutti, porgo il benvenuto dell’ANPI a tutte le autorità intervenute, militari, civili e religiose, a tutte le associazioni combattentistiche e naturalmente a tutti i presenti che hanno sentito il bisogno, in questo giorno, di salire su questo Colle e Buon onomastico a tutti i Marco.
Dobbiamo fare un po’ d’ordine. 25 Aprile, Festa della Liberazione. Ma liberazione da cosa, da chi. Normalmente ci liberiamo delle cose inutili, delle cose che non ci piacciono, delle cose brutte. Ecco, il 25 Aprile del 1945 gli italiani si liberarono della cosa più brutta, della cosa più vomitevole, della cosa più nauseabonda che il mondo intero abbia mai conosciuto: si liberarono dal nazismo e dal fascismo. Questo è avvenuto grazie all’aiuto degli alleati ma, anche e soprattutto grazie a tutte e tutti coloro che scelsero di ribellarsi all’oppressione nazifascista dando vita, immediatamente dopo l’otto settembre del 1943, alla Resistenza. Donne e uomini con diverse idee politiche, lingue diverse, religioni diverse, ceti sociali diversi, appartenenti all’esercito, ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza, alla Polizia si ritrovarono tutti insieme, magicamente uniti per combattere contro eserciti potenti e molto meglio armati di loro, quelli dei dittatori hitler e mussolini. Credere tutti insieme in un unico ideale, fu quella l’arma vincente dei nostri Partigiani, della Resistenza che come un fiume in piena travolse il nemico per sfociare nella Libertà e nella Democrazia, dando vita alla nostra Costituzione, la più bella del mondo.
La più bella del mondo perché scritta da gente che aveva combattuto, da gente che aveva sofferto, da gente che voleva blindare il futuro per permettere alle nuove generazioni di non vedere mai più ripetersi quello che in quegli anni aveva patito tutta l’umanità. Una Carta Costituzionalean-ti-fa-sci-sta perché, anche se questa parola non apparisse tra i suoi articoli, ognuno di essi è completamente in antitesi con quanto espresso dal fascismo. Una Costituzione sulla quale, ancora oggi, chi rappresenta le nostre Istituzioni deve poggiare la propria mano giurandole fedeltà. Una Carta Costituzionale che prevede un governo democratico formato da un Presidente della Repubblica, da un Presidente del Consiglio dei Ministri, da un Presidente del Senato e da un Presidente della Camera che devono, naturalmente, anche loro giurare sulla nostra Costituzione al momento del loro insediamento. Tutte Istituzioni che esistono grazie alla guerra di Liberazione e grazie alla Resistenza e per questo motivo da noi sempre rispettate a prescindere dal loro colore politico. Un rispetto che ESIGIAMO sia reciproco e che tenga fede a tutti i valori espressi nella nostra Costituzione. Bene, allora adesso parliamo un po’ di storia, visto che non tutti sono stati bravi studenti e non tutti hanno ben capito quello che accadde 80 anni fa nel nostro Paese. Vorrei parlarvi di un eccidio checome ogni anno, abbiamo commemorato appena un mese fa.
Il 24 marzo del 1944, alle cave di pozzolana nei pressi della via Ardeatina, con un colpo alla nuca, vennero assassinate dai nazisti 335 persone di età tra i 15 e i 74 anni. Vennero assassinate per rappresaglia, per vendicare la morte di 33 soldati tedeschi del Reggimento “Bozen” caduti il giorno prima in un’imboscata dei Partigiani membri dei GAP locali, nella romana via Rasella.
Ora, qualcuno, ignorando la storia di questi fatti, potrebbe pensare che questa ritorsione nazista fosse stata perpetrata a danno di quelle 335 persone solo perché si trattava di italiani. Ma non è così. Furono uccise 154 persone a disposizione dell’Aussenkommando, sotto inchiesta di polizia; 23 in attesa di giudizio del Tribunale militare tedesco; 16 già condannate dallo stesso tribunale a pene varianti da 1 a 15 anni; 75 appartenenti alla comunità ebraica romana; 40 a disposizione della Questura romana fermate per motivi politici; 10 fermate per motivi di pubblica sicurezza; 10 arrestate nei pressi di via Rasella; e sette persone tuttora non identificate. In mezzo a questi “ITALIANI” non ci capitò nemmeno un fascista. Fu una strage le cui vittime erano Partigiani, Ebrei e dissidenti politici del regime fascista. Lo stesso mussolini ordinando l’apertura delle cantine di Villa Torlonia per un brindisi assieme agli autori della strage, commentò l’eccidio compiuto dai suoi alleati nazisti, mentendo per l’ennesima volta, con un “non si può rimproverare nulla…la rappresaglia è legale, è sancita dai diritti internazionali”. Ma c’è di più, a stilare la lista dei condannati a morte, e questo spiega il vero motivo della cattura di quelle persone, fu tale Pietro Caruso questore di Roma per conto della Repubblica Sociale Italiana, mandato a processo in seguito alla liberazione di Roma e a guerra ancora in corso, che si concluse con la condanna a morte di Caruso. Condanna che fu eseguita il giorno successivo tramite fucilazione alla schiena.
Ma chi erano i 33 soldati nazisti caduti nell’imboscata partigiana?
Essi appartenevano al reggimento BOZEN (Bolzano) ed ogni pomeriggio transitavano in via Rasella in pieno assetto di guerra armati dei loro strumenti di morte.
Ora, qualcuno particolarmente ignorante …. In materia, potrebbe scambiare questi strumenti per strumenti musicali ed arrivare alla conclusione che i 33 nazisti uccisi non fossero altro che i componenti di un corpo bandistico tirolese formato da anziani musicanti in pensione.
Ma Herbert Kappler non era un direttore d’orchestra!!!
Qualcuno particolarmente ignorante …. In materia, potrebbe obiettare che in definitiva, la responsabilità di quell’eccidio fu esclusivamente dei Partigiani che con la loro imboscata hanno innescato la reazione delle truppe naziste.
Ma qualcuno particolarmente ignorante …. In materia, dimentica che in quel marzo del 1944 c’era una cosa che permetteva ad un simile di uccidere un altro simile e renderlo addirittura felice di averlo fatto: c’era la guerra. E’ la guerra l’unica responsabile delle morti e delle distruzioni.
Qualsiasi tipo di guerra, come quella che si combatte, ancora una volta nella nostra Europa, a due passi da noi, in Ucraina. Una guerra che, in nome della pace, viene alimentata, anche dalla nostra nazione che per costituzione ripudia la guerra, con l’invio di ogni tipo di arma. Che come tutte le guerre sta mietendo vittime e distruzioni riducendo alla fame e alla povertà migliaia di donne, uomini e bambini . La stessa guerra che tra 30/40 anni vedrà commemorare le proprie vittime con oratori che si alterneranno nei suoi luoghi simbolo e concludere i lori discorsi con la frase “ricordiamo perché tutto questo non si ripeta mai più”
Buona Festa della Liberazione a tutti.
IL DISCORSO DI DAVIDE FALCIONI, Presidente della Sezione di Offida
25 Aprile 2023, Festa della Liberazione, Offida
Il 25 Aprile è il Natale della nostra democrazia, la data in cui tutti i cittadini e le cittadine ricordano la Liberazione, e quindi, la Resistenza che ha cambiato la storia d’Italia con la sconfitta del nazifascismo ponendo le basi per la scrittura della nostra Costituzione.
Il 25 Aprile, che pose fine alla tragedia della guerra, fu preceduto da un ventennio di lotte antifasciste, durante il quale decine di migliaia di italiani furono perseguitati, arrestati, confinati, deportati, torturati e uccisi perché contrari al regime di Mussolini.
Ogni anno, celebrando questo giorno, rinnoviamo l’impegno in difesa di quei valori e ricordiamo gli uomini e le donne che sfidarono il fascismo.
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Eppure mentre in questa piazza e in migliaia di altre piazze italiane celebriamo la Liberazione si moltiplicano episodi di violenza e di apologia del fascismo e le più alte cariche dello Stato dichiarano senza pudore di ispirarsi ai valori del regime: oggi la maggior parte dei ministri del Governo non celebra il 25 aprile: una festa che è divisiva, sì, ma solo se si è ancora fascisti.
Ma non solo. Le evidenti colpe dell’attuale governo non possono e non devono esimerci da un’assunzione di responsabilità collettiva, una responsabilità che deve investire anche noi antifascisti e democratici colpevoli di non aver edificato nel tempo a nostra disposizione una società davvero equa e giusta, secondo quel progetto che è inequivocabilmente scritto nella Costituzione.
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Scriveva Friedrich Engels in una lettera del 24 febbraio 1893: “La storia è forse la più crudele di tutte le divinità e conduce il suo carro trionfale su cumuli di cadaveri; e ciò non solo in guerra ma anche durante il “pacifico” sviluppo economico. E noi, uomini e donne, siamo purtroppo così sciocchi da non avere mail il coraggio di introdurre un progresso reale se non vi siamo spinti da sofferenze che ci sembrano quasi insopportabili”.
La storia ci ha offerto decine di occasioni per costruire un’Italia migliore, per costruire quel “progresso reale” di cui parla Engels. L’ultima delle quali è stata la pandemia di Covid, dalla quale saremmo potuti uscirne tutti migliori. Ricordate i cartelli alle finestre? “Andrà tutto bene”, recitavano. La solidarietà e il bene comune avrebbero potuto prevalere sull’egoismo. Così pensavamo.
Invece abbiamo ripreso quella folle corsa verso la morte chiamata “normalità”. Alle porte dell’Europa, per responsabilità della Russia, si combatte una guerra che investe ormai tutte le grandi potenze, una guerra alla quale nessuno sembra voler mettere fine, tanto che la spesa militare mondiale ha raggiunto nel 2022 la somma record di 2.240 miliardi di dollari, notizia di ieri. Non è mai stata così alta.
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La povertà è sempre più diffusa e l’articolo 3 della Costituzione è quotidianamente tradito, quell’articolo che recita che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Le cose stanno diversamente: prima della pandemia, secondo il rapporto Oxfam del 2020, le ricchezze dei sei milioni di italiani più poveri erano inferiori al patrimonio posseduto dai soli tre uomini più ricchi del Paese. Dopo la pandemia le diseguaglianze sono aumentate. La guerra ai poveri ha preso il posto della guerra alla povertà, tanto che da anni lasciamo annegare nel Mediterraneo nell’indifferenza migliaia di uomini, donne e bambini.
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Dalla pandemia saremmo potuti uscire finalmente consapevoli che oggi non siamo ostaggi di una Natura maligna, ma della scellerata sete di profitti di pochi. La comunità scientifica ci ricorda costantemente che stiamo andando a sbattere a folle velocità contro un muro, eppure non siamo ancora in grado di tirare il freno e cambiare il nostro folle modello di sviluppo. Così, mentre i ghiacciai si sciolgono, le foreste vengono devastate dagli incendi e milioni di persone – anche in Italia – presto soffriranno la sete le emissioni di anidride carbonica non sono mai state così alte come oggi. Lo scorso 20 marzo, l’IPCC ha diffuso il suo ultimo rapporto sui cambiamenti climatici e il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha lanciato l’ennesimo monito: “L’umanità è in bilico su un sottile strato di ghiaccio, che si sta sciogliendo velocemente”.
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Penso allora che il 25 aprile ci debba insegnare soprattutto una cosa. Che in ogni situazione – dalla guerra partigiana di Liberazione all’ordinaria amministrazione – dobbiamo scegliere da che parte stare. Stare dalla parte della Liberazione vuol dire pensare che mai, per nessuna buona ragione, si possono sacrificare le ragioni dei più poveri, dei più fragili, dei più deboli, dei più vecchi e malati, delle più umiliate tra le donne, dei più colpevoli tra i carcerati, dei più diseredati tra i migranti. È questo l’insegnamento che dovremmo trarre dall’esperienza partigiana.
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Chiudo leggendo la breve lettera di un condannato a morte della Resistenza, una storia che ho scoperto solo ieri tra migliaia di altre. È la storia di Giovanni Mecca Ferrogli, un operaio elettricista di 18 anni, partigiano combattente inquadrato nella Brigata Garibaldi. Il 7 ottobre Giovanni scrive la sua ultima lettera a un amico da una cella del carcere di Torino. Poche ore dopo verrà fucilato dai fascisti insieme ad altri 3 compagni: Luigi Comelli, Mario Giardini e Claudio Zucca.
Caro amico,
spero ti ricorderai quando eravamo a scuola insieme e quando eravamo in montagna. Ora ci siamo rivisti in infermeria, prigionieri tutt’e due. Quando ho saputo del tuo cambio sono rimasto molto contento: così almeno tu sei salvo e potrai vendicarmi. Il mio destino è stato questo: mi hanno denunciato al Tribunale più schifoso che esista: ti narro un po’ il processo. Mi portarono via dalle carceri legato come un delinquente, sbattendomi sul banco degli accusati. I giudici sono tutti assassini e delinquenti: non mi hanno nemmeno fatto parlare. Chiesero la mia condanna a morte col sorriso sulle labbra, ed hanno pronunciato la mia condanna ridendo sguaiatamente come se avessero assistito ad una rappresentazione comica.
Spero che noi saremo le ultime vittime di questi assassini: ma voi che restate dovete vendicarci duramente. Muoio contento di aver servito la mia causa fino all’ultimo. Vuol dire che quello che non faccio più io, lo faranno gli altri. Ti ho scritto queste parole 10 ore prima di essere fucilato. Io sono tranquillo e contento come quando eravamo insieme nei partigiani.
Addio !
Buon 25 aprile
IL DISCORSO DI GIUSEPPE PARLAMENTI, Presidente della sezione di Acquasanta Terme
IL 25 APRILE AD ACQUASANTA TERME
Buon giorno a tutte ed a tutti, Sabato scorso ho partecipato a Colli del Tronto all’omaggio voluto dai cittadini democratici alla memoria di un prete con la deposizione dei fiori presso la lapide posta nella piazzetta intitolata al suo nome che recita: “Don Gisberto D’Angelo, medaglia di bronzo al valor militare – 11 marzo 1944 – Valoroso organizzatore della Resistenza.” Voglio oggi ricordare uno dei tanti eroi dimenticati che vestivano l’abito talare, insieme a don Carmine Romanucci, don Vincenzo Giachini, don Giuseppe Orsini il comandante Von Bock e tanti altri che, anche in Acquasanta, seppero scegliere la strada della Giustizia e della Libertà. La Resistenza, infatti, è stata plurale, vi parteciparono azionisti, socialisti, liberali, comunisti, monarchici e anche molti ex fascisti delusi, preti, alpini, carabinieri e donne ed uomini, e semplici cittadini; fu insomma GUERRA DI LIBERAZIONE del popolo italiano che INSIEME riuscirono a scrivere, come per un miracolo LA COSTITUZIONE più bella del mondo. Rileggiamola qualche volta nei suoi principi rivoluzionari: art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Art. 21 Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Tutto il contrario di ciò che sono stati il credo e le leggi del ventennio, come si può pensare che la Costituzione non sia antifascista nei fatti e sostenere che non lo sia per un motivo puramente filologico? Al contrario dunque va applicata interamente e tutti i giorni in tutti gli ambiti e deve essere alla base delle nostre leggi e del nostro vivere insieme. Non possiamo peraltro accettare il revisionismo che trapela ogni anno prima della ricorrenza del 25 aprile, quello cioè che vorrebbe vincitori e vinti della guerra civile sullo stesso piano; noi portiamo rispetto a tutti i morti che hanno combattuto in buona fede, ma non ci può essere equivalenza possibile tra la parte che allora sosteneva l’occupazione nazista e chi invece ha lottato per la pace, l’indipendenza e la libertà del nostro Paese. Nessuna confusione può esserci tra coloro che furono perseguitati ed uccisi a causa delle loro idee, trasportati ad Auschwitz o a Mathausen, e quelli che ce li avevano mandati. E come infine non ricordare le donne (soprattutto) e gli uomini che a Pozza, Pito ed Umito, seppero fare la scelta giusta, quella dei valori umani più nobili, della solidarietà e divisero le loro miserie, anticipando il valore scritto nell’articolo 3 della Costituzione, consentendo al nostro Comune di esporre sul Gonfalone la medaglia d’argento al merito civile, di cui oggi noi tutti possiamo andare orgogliosi? Concittadini, se oggi siamo qui, ognuno con le proprie idee, liberi di poterle manifestare lo dobbiamo a quanti in quel giorno di primavera del 1945 impugnarono le armi e liberarono le nostre belle città dagli oppressori fascisti e nazisti. Buona festa della LIBERAZIONE, Viva la RESISTENZA, VIVA l’ITALIA!
Il discorso di Antonio Bruni, Presidente della Sezione di San Benedetto del Tronto
IL 25 APRILE A SAN BENEDETTO DEL TRONTO
Oggi 25 Aprile 2023 è giusto e necessario ricordare che a 80 anni dalla liberazione, dopo un ventennio di
dittatura fascista il 18 giugno 1944 San Benedetto del Tronto veniva liberata dall’esercito alleato guidato dal Gen. Andersen. La città accoglieva con festeggiamenti le truppe alleate polacche che sfilavano lungo la spiaggia.
I soldati dell’esercito nazista erano in ritirata dopo aver lasciato morti e effettuato rappresaglie tra la
popolazione. In zona Ponterotto lungo la provinciale per Acquaviva Picena, pacifici cittadini come Neutro
Spinozzi, Salvatore Spinozzi e il Brigadiere dei carabinieri Elio Fileni venivano barbaramente uccisi da soldati tedeschi presenti nella zona sin dall’ 11 giugno, le case di Salvatore Spinozzi vennero occupate, i proprietari costretti a fuggire, quelle di Pasquale Piunti vennero date alle fiamme, sventagliate di mitra contro le case, inermi cittadini venivano feriti, finte esecuzioni di ostaggi. Un clima di terrore imposto dai soldati nazisti contro la pacifica popolazione.
Altro contributo di sangue venne dato dai partigiani, Francesco Fiscaletti, i fratelli Antonio e Cesare Gabrielli e il figlio di quest’ultimo Luciano, Mario Mazzocchi, tutti concittadini di San Benedetto, il maresciallo dei carabinieri Luciano Nardone. Come non ricordare il guardiamarina Giovanni Nebbia per le sue imprese per mettere in salvo anche prigionieri inglesi, l’allora tenente della stazione dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa e il sottotenente della finanza Gian Maria Paolini fucilato da un plotone di esecuzione fascista insieme a Francesco Fiscaletti in località Santa Lucia, lungo la strada che collega San Giovanni Valdarno a Cavriglia.
I cittadini di San Benedetto si lasciavano alle spalle una città da ricostruire, semidistrutta dai tbombardamenti alleati. Occorreva far ripartire I’ economia locale, che dipendeva in gran parte dalla pesca.
I pescherecci, quelli rimasti, perché 10 affondati durante le operazioni belliche, 17 requisiti dagli anglo
americani, 5 perduti colpiti da mine vagati, altri fuggiti per mettersi in salvo, dovevano rientrare. Occorreva che il porto e il mercato all’ingrosso del pesce seriamente danneggiati, venissero ricostruiti.
Il dott. Carlo Giorgini primo sindaco dopo la liberazione, Insieme ai cittadini di San Benedetto, aveva il
difficile compito di avviare fa ricostruzione e l’economia della città.
La sezione dell’ANPI di San Benedetto vuole ricordare questo giorno come un giorno di festa per la città e che il ricordo di quegli avvenimenti possa rappresentare un monito, affinché i valori della Costituzione
scritta con il sangue di tanti uomini liberi che decisero pagando con la vita di opposi alla dittatura
nazifascista, costituiscano un patrimonio da preservare anche e soprattutto dalle giovani generazioni alle
quali sono stati garantiti 80 anni di pace e progresso in un’Italia e un’ Europa libere e democratiche.
Commenti disabilitati su Le parole del 25 Aprile: i discorsi del Presidente provinciale Pietro Perini a Colle San Marco, di Davide Falcioni, Presidente della sezione di Offida, di Giuseppe Parlamenti, Presidente della sezione di Acquasanta Terme, di Antonio Bruni, Presidente della Sezione di San Benedetto del Tronto »