La Battaglia di Bosco Martese, a cui tutti i resistenti rendono onore

21 Settembre 2023 Nessun commento »

Ferruccio Parri la definì “la prima battaglia in campo aperto dell’antifascismo italiano a cui tutti i resistenti rendono onore”.  Un episodio destinato a cadere nell’oblio, anche per i drammi che l’occupazione nazifascista produsse al centro-nord, ma destinato a fare scuola per quell’unità di intenti che caratterizzò i più importanti successi della Resistenza non solo italiana, ma europea. Quel giorno di 80 anni fa azionisti e comunisti, forze armate e civili, italiani e stranieri combatterono fianco a fianco contro il nemico. Fu l’esordio della guerriglia partigiana italiana e, nonostante il prezzo della rappresaglia e i limiti strategici riscontrati, uno dei primi veri successi contro i nazifascisti.

“Bisogna ritornare sui passi già fatti, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini” scriveva il grande scrittore portoghese José Saramago. Un giorno di 80 anni fa tra tutta questa bellezza, così lontana dal mondo lontano giù a valle, sono stati compiuti passi importanti per la libertà di tutti. Ripercorrerli è il primo passo per rendere onore ai Caduti di allora e continuare la lotta contro tutti i fascismi di ieri e di oggi.

Anche quest’anno una delegazione dell’ANPI provinciale di Ascoli Piceno parteciperà alle cerimonie di Bosco Martese. Chi vuole unirsi a noi può contattarci per andare insieme (3282077944).

12 settembre 1943 – 12 settembre 2023

12 Settembre 2023 Nessun commento »

Il12 settembre 1943 ad Ascoli Piceno avvennero una serie di scontri a fuoco contro l’esercito tedesco da parte di civili e militari italiani. Dopo gli analoghi scontri di Porta San Paolo a Roma, è questo il secondo episodio in Italia di resistenza, in campo aperto, alle truppe di occupazione germaniche.

Già nella sera dell’11 settembre cominciarono a circolare in città voci confuse di reparti tedeschi in marcia lungo la Salaria e diretti da Rieti ad Ascoli. Si parlava, addirittura, di una divisione corazzata.

I tedeschi entrarono in città il giorno successivo,  domenica 12 settembre. 

Erano circa le 10 quando, da Porta Romana, giunse ad Ascoli un reparto motorizzato che si frazionò in più gruppi. Si trattava della 2’ Compagnia autoveicoli del comando di Roma della Kriegsmarine, un’unità di servizi della Marina militare che, pur non essendo destinata a svolgere principalmente compiti di prima linea, era tuttavia dotata di automezzi blindati, mitragliere pesanti e cannoncini a tiro rapido.

Il primo attacco fu diretto contro l’allora caserma Vecchi, in corso Vittorio Emanuele: fu distrutto il centralino, disarmati i soldati e gli ufficiali, presi come prigionieri il ten. col. Perna e il cap. Camilli.

Intorno alle 11, guidati dal tenente Ludwig Hoffmann, i tedeschi si diressero verso la caserma Umberto I, in corso Mazzini, sparando e pretendendo la resa dei soldati italiani.

Il tenente Cleto Capponi, che si trovava nell’ufficio comando, ricorda che si udirono intimazioni tedesche accompagnate da qualche raffica di arma automatica, alle quali rispose immediatamente il fuoco delle armi già appositamente piazzate nella caserma, a sbarramento degli accessi. 

I tedeschi probabilmente non si attendevano una resistenza organizzata e puntavano ad una resa più o meno immediata del comando. Invece il comandante del 49° Rgt. Fanteria, il colonnello Santanchè, pur nella confusione di quei giorni, aveva organizzato la difesa della caserma. Ne seguì uno scontro violento nel quale persero la vita il sergente Leone Lepore e il sottotenente Luciano Albanesi. Nelle file nemiche trovarono la morte lo stesso tenente Hoffmann ed alcuni soldati tedeschi.

Mentre lo scontro alla caserma era ancora in corso, il reparto tedesco più numeroso, intenzionato ad abbandonare la città, si era messo in marcia verso la zona Est della città, per riprendere la via verso la costa.

I tedeschi non potevano prevedere che un gruppo di partigiani pronti ad aprire il fuoco era già posto all’altezza del passaggio al livello, mentre gli avieri erano allineati a difesa dell’ingresso della strada e sul cavalcavia della ferrovia, e semplici cittadini erano armati e appostati tra le case e sopra i tetti. 

Gli avieri di stanza alle caserme Funzionali, meglio conosciute come Casermette, erano per lo più reclute della classe 1923 in servizio da circa due mesi e a guidarli e a prendere l’iniziativa, che determinò la completa débâcle dei tedeschi giunti nel capoluogo, non furono tuttavia gli ufficiali superiori responsabili dei battaglioni ma dei semplici sottotenenti e sottufficiali di giornata presenti a quell’ora in caserma, molti dei quali appena o non ancora ventenni.

Lo scontro a fuoco, durato circa un’ora, si risolse con la resa di un centinaio di soldati tedeschi e la cattura di ben diciassette automezzi militari: un episodio, questo, più unico che raro, visto quanto stava accadendo in quei giorni alle forze armate italiane.

Nel conflitto a fuoco vi furono diverse decine di feriti e caduti, soprattutto da parte tedesca. Tra gli avieri persero la vita Gaetano Barrile, Antonio D’Urso, Giuseppe Faienza e Giovanni Verbale, tutti decorati con Medaglia d’Argento al Valor Militare. 

Una lapide, apposta sulla spalletta del sottopasso ferroviario nel quartiere dei Santi Filippo e Giacomo ricorda il loro eroico sacrificio.

A fine giornata, tra la popolazione ascolana si contarono due caduti: una giovane donna, Concetta Cafini, di 23 anni, colpita accidentalmente da una pallottola vagante nei pressi della Caserma Umberto I, e il diciassettenne Adriano Cinelli, ferito a morte davanti al Distretto da una raffica partita da un automezzo tedesco di passaggio che, qualche istante prima, era stato fatto segno al fuoco dei civili. Entrambi sono ricordati con due lapidi apposte sulla facciata dell’ex caserma Vecchi, di fronte ai giardini comunali, in corso V. Emanuele.

La nostra biblioteca

31 Agosto 2023 Nessun commento »

Abbiamo catalogato un centinaio di volumi di storia, saggistica e narrativa sulla Resistenza, che possono essere dati in prestito ai nostri associati. L’elenco è consultabile su questo sito alla pagina “editoria”.
Se volete incrementare il nostro catalogo potete farci dono di vostri libri sugli stessi argomenti.

Pastasciutta antifascista 2023

18 Luglio 2023 Nessun commento »

Il cibo racconta la nostra storia e viene spontaneo chiedersi cosa mangiassero i partigiani ai tempi della Resistenza. Come è facile immaginare, non c’era molto a disposizione sotto il regime fascista, l’autarchia stringeva, ingredienti come l’olio d’oliva o lo zucchero erano lusso, addirittura la pasta asciutta non era accettata. Infatti, il Duce preferiva una dieta a base di cereali, il riso aveva spodestato la pasta, praticamente bandita – così come si evince anche da “Il Manifesto della cucina futurista” di Tommaso Marinetti.
Per i partigiani, la situazione era ancora peggiore, dovendo combattere anche la fame attraverso una cucina di sostentamento, in parte di contrabbando, grazie al supporto dei civili pronti ad aiutarli ad un prezzo altissimo (concreto era il rischio di venir fucilati dalle milizie nere, se scoperti).
Tanti gli episodi raccontati che fanno stringere il cuore e sperare: dalle lasagne della ricostruzione gustate da Teresa Noce di ritorno dai campi della morte fino ai 35.000 bambini nutriti dalle donne emiliane nel duro inverno del ’45.
Quello che più è rimasto impresso nella memoria si riferisce alla pasta al burro offerta dalla famiglia Cervi a tutto il paese di Campegine per festeggiare la caduta del regime. Un gesto di straordinaria generosità che ha dato vita alla pastasciutta antifascista, un piatto simbolo da non dimenticare mai per il suo valore intrinseco.
Il 25 luglio 1943, a seguito della riunione del Gran Consiglio del Fascismo, Mussolini venne finalmente destituito e arrestato segnando così la fine del fascismo, dopo 21 anni. Il Re designò il Maresciallo dell’esercito Pietro Badoglio come nuovo capo del governo, che però non fermò la guerra al fianco dei tedeschi. Solo dopo l’8 settembre, a seguito dell’ armistizio, una parte degli italiani si organizzò in armi per combattere le truppe tedesche di occupazione e i loro servi fascisti, confluiti nella sedicente Repubblica di Salò. Seguirono venti mesi di eroica Resistenza che segnarono il riscatto morale della nazione.
Ma quel 25 luglio 1943 era comunque un evento da festeggiare e i fratelli Cervi si procurarono la farina, presero a credito burro e formaggio dal caseificio e prepararono chili e chili di pasta (ben 380 chili). Caricarono il carro e la portarono in piazza a Campegine pronti a distribuirla alla gente del paese. Un grande giorno di festa, un sospiro di sollievo in attesa della democrazia tanto sofferta.
Una memoria storica che non viene dimenticata grazie all’Istituto Alcide Cervi, costituito il 24 aprile del 1972 a Reggio Emilia per iniziativa dell’Alleanza Nazionale dei Contadini (oggi Confederazione Italiana Agricoltori), dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, della Provincia di Reggio Emilia, e del Comune di Gattatico. Raccogliendo lo straordinario patrimonio di valori rappresentato dalla figura di Alcide Cervi, insieme alla memoria dei suoi sette figli martiri dell’antifascismo, l’Istituto parte dalla esperienza della campagna emiliana per lavorare con coerenza e impegno per la salvaguardia dei valori alla base della Costituzione Repubblicana.

Anche questo 25 luglio 2023, ad ottant’anni dalla caduta del regime, celebreremo con una pastasciutta antifascista sia a Colli del Tronto che a San Benedetto del Tronto, grazie all’impegno delle compagne e dei compagni delle sezioni ANPI “Vallata del Tronto- Roberto Perazzoli” e di San Benedetto del Tronto. A Colli l’appuntamento è presso la sede ANPI in largo Campo Fiera n. 22 (a 100 mt. dalla piazza del paese), mentre a San Benedetto ci si vede presso il circolo dei pescatori sanbenedettesi (di fronte alla Capitaneria di porto).

Sarà possibile effettuare il rinnovo della tessera ANPI 2023 o iscriversi per la prima volta, aderendo all’unica associazione che da ben ottant’anni si oppone a tutti i fascismi.

VIII FESTA DELLA CACIARA

26 Giugno 2023 Nessun commento »

Domenica 2 luglio Festa della Caciara
“3 ottobre 1943” a Giammatura (monte
San Giacomo)
Dopo le celebrazioni partigiane del mese di giugno e le presentazioni editoriali sulla Resistenza, svoltesi ad Offida e a San Benedetto del Tronto, l’appuntamento di rito è quello di domenica, a partire dalle ore 10.00, presso la Caciara “3 ottobre 1943” a Giammatura di monte San Giacomo (prima dell’ultimo tornante che porta al parcheggio della provincia).
Così ricordava quel giorno del 1943 il nostro William Scalabroni: “Il San Marco era davvero zeppò di gente, tanto che di sera, quando ci riunivamo sul pianoro per conversare e per stare un po’ insieme, eravamo sempre una quarantina. Sul Colle, comunque, si viveva divisi in piccoli gruppi, nelle tende e nei rifugi sparsi per la montagna. A me e ad altri quattro o cinque ragazzi fu assegnata una tenda nella quale alloggiava già Alvaro Bucci, che per qualche tempo ci fece da capo. Quell’uomo, che imprecava sempre contro Sant’Emidio e che aveva fatto il soldato, ci insegnò com’è far funzionare le armi che avevamo con noi. A ciascuno di noi ragazzi, infatti, erano stati consegnati un fucile modello ‘91, alcuni caricatori e qualche bomba a mano. Ricordo anche che, con quelle armi in mano e parlando di quello che stavamo facendo, fummo tutti colti da una specie di animosità guerriera. Fummo perciò entusiasti quando ci chiesero di svolgere, armati di tutto punto e con tanto di parola d’ordine, i turni di guardia e i pattugliamenti.
Io partecipai anche a due incursioni, una a Montalto e l’altra ad Ascoli Piceno, che effettuammo per prelevare armi, materiale e viveri. Ebbi così modo di conoscere Mancini, che guidava il camion utilizzato in queste azioni. Diventammo buoni amici, ma intorno alla fine di settembre dovemmo separarci. Il mio gruppo fu infatti trasferito sul Giammatura, dove si erano trasferiti i due capitani (Pigoni e Torelli – NdR). Fu durante quel trasferimento che, in una piccola Caciara dalle parti delle Vene Rosse, incontrai Panichi e Cellini, che conoscevo bene e che purtroppo caddero il 3 ottobre. Sul Giammatura, comunque, rimanemmo molto poco, non più di tre o quattro
giorni, perché poi si scatenò l’attacco tedesco. Lassù alloggiammo in una
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Caciara molto spaziosa e ci fu affidata una mitragliatrice che montammo vicino al nostro rifugio, su uno sperone di roccia che lo sovrastava. Quella postazione era davvero formidabile. Dallo sperone potevano vedere tutto: Gabbiano, le Vene Rosse, i declivi della montagna. Difendersi, da lassù, sembrava davvero facile.
Quel mattino, sul Giammatura, quando si cominciarono a udire le prime cannonate dell’artiglieria tedesca dirette sul pianoro del San Marco, noi eravamo già pronti – chi sulla postazione di mitragliatrice, chi più sotto – in attesa degli ordini. L’ attacco, infatti, ce lo aspettavamo, specie dopo quanto era avvenuto a Bosco Martese. Anzi, eravamo certi che sarebbe partito da Ascoli Piceno, anche perché la notte precedente ci avevano messo in stato d’allarme proprio per un movimento di reparti tedeschi in città. Al giungere dei primi colpi di cannone, la ventina di ex prigionieri alleati (in gran parte inglesi e in abiti civili) che era con noi, scappò gambe all’aria, inoltrandosi verso l’interno della montagna. Benché scossi da quella fuga e dal cannoneggiamento, noi non ci muovemmo dalla nostra postazione, tanto che eravamo ancora lì quando di verificò il terremoto. Più tardi, in mezzo a una nebbia terribile, spuntarono i capitani Pigoni e Torelli con diversi uomini al seguito. Gli ufficiali erano diretti a San Giacomo e ci chiesero di unirci a loro. Noi recuperammo la nostra mitragliatrice e ci aggregammo a quella gente, formando un gruppetto di una venticinquina di persone. Arrivati a San Giacomo, non trovammo nessuni nei pressi del rifugio, che però era ancora in piedi. Fuori della porta, tuttavia, c’era della roba sparsa in terra; segno che lassù i tedeschi erano già passati. Senz’altro vi erano stati guidati da spie locali che conoscevano la zona e che indicarono loro i difficili sentieri da seguire. Fu dunque la nebbia a salvarci dalla cattura, perché, dopo aver fatto prigionieri i nostri compagni di San Giacomo, i soldati tedeschi erano scesi verso il pianoro del San Marco per prendere alle spalle il resto della banda, e probabilmente non erano passati molto distanti da noi, che proprio in quelli stessi momenti stavamo risalendo le alture. In ogni modo, scampati a questo pericolo, da San Giacomo proseguimmo verso San Vito, fiancheggiando un vallone. Poco dopo, però, dall’altro lato del vallone, vedemmo sbucare, su di un sentiero più basso, una piccola colonna di soldati tedeschi. Subito ci preparammo ad aprire il fuoco, ma uno dei due capitani ce lo impedì, ordinandoci di buttarci a terra per non farci individuare e di aspettare nascosti che i soldati passassero. Fu una fortuna perché, una volta allontanatisi i tedeschi, ci accorgemmo che avevamo portato con noi la mitragliatrice, ma che avevamo però dimenticato di prendere le sue munizioni.
Giunto sano e salvo a San Vito, il gruppo si divise. Io rimasi in quella località per diversi giorni, mentre i due capitani e qualcun altro proseguirono, non ricordo verso dove. Nascoste nel cavo di un albero le armi che avevo con me e vestitomi da contadino, rientrai quindi ad Ascoli Piceno, dove per qualche tempo restai costantemente sul chi vive per timore di essere denunciato ai tedeschi come appartenente alla banda del San Marco e di essere perciò arrestato e deportato.”
(da Sergio Bugiardini, “La Città e il Colle”, Il lavoro editoriale, Ancona, 2013, pp. 402 e ss., 448 e ss.).
William Scalabroni,classe 1926, studente dell’Istituto Agrario, figlio di un impiegato statale di generiche idee antifasciste. Impiegato come staffetta e nel trasporto di armi, nel 1944 fu arrestato dai repubblichini e poi rilasciato. È stato Presidente provinciale dell’ANPI di Ascoli Piceno dal 2012 al 2018.
26 giugno 2023
PRESSO LA FESTA SARÀ POSSIBILE ISCRIVERSI O RINNOVARE LA PROPRIA ISCRIZIONE ALL’ ANPI