Nella frazione di Santa Lucia a Monsampietro di Venarotta i fascisti fucilarono tre giovani Partigiani della Banda Paolini.
L’iscrizione sulla lapide che li ricorda recita:
L’ODIO CI UCCISE
LA GLORIA CI ETERNA
DANESI LIVIO
MAZZOCCHI MARIO
TAURO ANTONIO
PATRIOTI DELLA BANDA PAOLINI
QUI FURONO TRUCIDATI
DAI NAZIFASCISTI
PER AMORE DELLA PATRIA
XII marzo 1944
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Le Celebrazioni di marzo. 3 – A Monsampietro di Venarotta l’Anpi ricorda i Partigiani fucilati della Banda Paolini.
Marzo 12th, 2022Le Celebrazioni di marzo. 2 – I fatti di Pozza
Marzo 10th, 202211 marzo 2022, ad Acquasanta Terme (AP), con l’Anpi per ricordare i “Fatti di Pozza”.
L’11 Marzo del 1944 si verificò la strage di Pozza e Umito (frazioni di Acquasanta). A Umito morirono, combattendo, i partigiani della Banda Bianco mentre a Pozza furono uccisi dei civili per rappresaglia. Morirono 12 abitanti del posto e 37 partigiani.
Appena trascorsa la mezzanotte del 10 marzo un nutrito gruppo di tedeschi, accompagnati e guidati da elementi fascisti della provincia e del comune di Acquasanta, stabilì di salire verso le frazioni di Pozza, di Pito e di Umito. La loro intenzione era quella di accerchiare il gruppo di partigiani di Umito e di Pozza ponendosi in tre posizioni diverse e cogliendo la popolazione nel sonno… Non pochi dovevano essere gli “accompagnatori” del luogo, conoscitori dei sentieri, dei viottoli e delle scorciatoie… Evidentemente per i tedeschi non era stato difficile avere la collaborazione di abitanti del comune di Acquasanta e dello stesso maresciallo Melchiori, che conoscevano tutta la difficile zona della valle del Garrafo, come le proprie tasche. Appena fu l’alba la diabolica trappola scattò per Pozza.
Il massacro di Pozza, Umito, Pito e dintorni coinvolse numerose persone di nazionalità diversa, di diversa età e compiti o coscienza antifascista, uomini e donne, addirittura una bimba di un anno. Durante la risalita della valle da parte dei nazifascisti, la mattina dell’11 marzo, alcuni abitanti furono presi prigionieri a Pozza. Durante la risalita della valle da parte dei nazifascisti, la mattina dell’11 marzo, alcuni abitanti furono presi prigionieri a Pozza. Il primo ad essere ucciso, crudelmente nonostante implorasse pietà, con cinque colpi di pistola direttamente dal Melchiori in divisa da SS, fu il giovane Emidio Collina. Una sventagliata di mitra invece si portò via Serafino Cesari, Pietro Patulli e Mariano Castelli, allineati al bordo della strada. Molti altri avrebbero potuto essere i caduti a Pozza se non fosse giunta voce che più su, a Umito, i partigiani stavano reagendo. Era scoppiato l’inferno. Vistisi circondati, i partigiani avevano aperto il fuoco contro i tedeschi: alcuni combattenti furono uccisi mentre lottavano, tra questi Gregorio Schiavi e alcuni montenegrini che furono colpiti mentre uscivano dalle finestre per raggiungere altre posizioni. Martina Cristanziani fu abbattuta dai tedeschi dinanzi al suo bambino; la piccolissima Anna Sparapani perì nelle fiamme della sua casa, incendiata dai nazifascisti; altri caddero benché disarmati e persino estranei ai fatti bellici. La battaglia ebbe termine verso mezzogiorno, quando si contavano più di 30 morti, tra cui alcuni tedeschi che furono cremati sul posto. Altri militari saccheggiarono i viveri dalle case per poi appiccare il fuoco.
Racconto di Domenica Sparapani di Umito: “Ero in casa con tre figli: uno di otto anni, uno di sei e una di un anno; ero sola perché mio marito era militare a Reggio Calabria. Venni svegliata da alcuni spari verso l’alba che aumentavano sempre più, la mia casa in fondo al paese era accerchiata da tedeschi e fascisti; proprio qui avveniva la battaglia. L’unica cosa che potevo fare era pregare, i due bambini più grandi non riuscivano neanche a piangere per quanto erano terrorizzati e si tenevano stretti alle mie gonne per sentirsi più protetti. Il tempo non passava mai, i colpi della mitragliatrice posta di fronte, su di una montagna diventavano assordanti, la mia bambina dormiva profondamente. Appena cessati gli spari e tornata la calma, ho portato in salvo i miei due figli e mi sono diretta alla piazzetta del paese. C’era molta neve e camminavo con fatica , qua e la giacevano morti, si udivano urla di donne e di bambini che correvano da una parte all’altra…meglio, meglio non ricordare. Giunta nella piazzetta ho affidato i miei bambini ad alcuni parenti e sono tornata a prendere la piccola Anna, ma la mia casa stava bruciando con la mia bambina dentro. Il primo istinto è stato buttarmi tra le fiamme e salvarla, era ormai impossibile, troppo tardi. Sono rimasta lì immobile, senza poter far nulla, forse non lo ricordo bene, ho gridato disperatamente. Altre case nel frattempo incendiavano. I miei paesani sembravano anch’essi impazziti, perché non avevano più la propria casa, le proprie cose, i viveri; ma io neppure la mia bambina.“
Le Celebrazioni di marzo. 1- Gli scontri di Castel di Croce e Rovetino. I caduti partigiani della Banda Paolini.
Marzo 8th, 2022Il 9 marzo del 1944 si ricorda la battaglia di Rovetino, piccola frazione di Rotella, situata sul versante Nord del monte Ascensione.
Si era stanziato in queste zone un gruppo di combattenti di San Benedetto diretti dal sottotenente Gianmario Paolini.
Lo spostamento dalla zona costiera era stato determinato dalla necessità di fuggire alla sorveglianza tedesca sempre più pressante.
Sottotenente della Finanza, piemontese, classe 1919, Gianmario Paolini, la notte dell’11 settembre, Insieme ad un piccolo gruppo di italiani, dopo aver raccolto il maggior quantitativo possibile di armi ed esplosivi, aveva lasciato Sebenico, attraversando con altri finanzieri e soldati italiani l’Adriatico a bordo di una motovedetta della stessa Guardia di Finanza per approdare a San Benedetto. Molto probabilmente Paolini non si era diretto per caso a San Benedetto, ma aveva scelto volutamente quell’approdo, con la certezza di poter incrociare di lì a poco l’VIII Armata inglese, per unirsi ad essa e risalire la penisola sino al Piemonte. La sosta degli alleati cambiò i suoi piani e a quel punto Paolini ritenne opportuno organizzare un gruppo di partigiani con diversi giovani sambenedettesi, insieme a militari sbandati, ex prigionieri e darsi alla macchia verso l’interno dislocandosi tra Acquaviva e Ripatransone. Lo stesso sottotenente aveva già avuto il suo battesimo di fuoco quando in una sparatoria aveva ucciso un tedesco nella zona del Dopolavoro Ferroviario. Da qual momento in poi era ricercato dai tedeschi.
L’azione di guerra di Paolini, coadiuvato dal Sottotenente degli Alpini Settimio Berton, si spostò, dal dicembre del 1943, verso la zona di Rovetino – Castel di Croce. Numerosi furono gli scontri sostenuti dai patrioti della “Paolini” come a Monterinaldo, Force e Rotella nei quali la Banda prevalse sugli avversari.
Nella casa di don Sante Nespeca, a Castel di Croce, venne installata la postazione radiotrasmittente del colonnello Styvel e, per un certo periodo, lì si stabilì anche il comando partigiano della “banda Paolini” con tanto di arsenale.
La Banda partigiana venne subito presa di mira dalle autorità fasciste di Force e di Ascoli. La prima spedizione punitiva venne organizzata il 7 novembre del 1943. Gli scontri furono limitati ma un caporale inglese, Enrico Fischer, venne arrestato. Un primo tentativo di liberarlo fu effettuato dai partigiani, guidati proprio da don Nespeca, sulla strada di Montemonaco ma non ebbe buon esito. Nella notte però il gruppo circondò la caserma di Force dando al maresciallo fascista un ultimatum per la liberazione del prigioniero. Cosa che avvenne prima dell’alba.
L’efficienza della Banda era probabilmente dovuta alla sua struttura, che per scelta dello stesso sottotenente Paolini, era ispirata a rigidi criteri militari, tanto che gli uomini che ne facevano parte erano sottoposti ad una ferrea disciplina, mentre compiti e responsabilità venivano ripartiti nel corso di riunioni tattico-operative. Fu anche per tale impostazione che la “Paolini”, in più occasioni, fu in grado di opporsi con decisione ai rastrellamenti, infliggendo perdite notevoli sia alle truppe tedesche che ai fascisti. Anche la collaborazione fu evidente quando la banda “Paolini” corse spesso in aiuto di altre organizzazioni della Resistenza, come nel caso in cui fornì consistenti aiuti in armi e mezzi alla formazione partigiana che operava a Colle San Marco al comando di Spartaco Perini.
Alla fama delle azioni patriottiche fece eco un infoltimento delle sue fila, tant’è che verso la fine del mese di febbraio del 1944, la “Paolini” decise di dividersi in due gruppi. Il primo, quello più consistente, che avrebbe operato in tutta la zona, rimase sotto il comando dello stesso Sottotenente Paolini, mentre il secondo fu lasciato in riserva a Rovetino. Ma il destino della formazione partigiana era ormai segnato. I vari scontri con i nazi-fascisti tra l’altro avevano decisamente impegnato la formazione. Nel mese di marzo 1944, mentre i due gruppi della “Paolini” si trovavano ad operare a Rovetino e a Castel di Croce, i tedeschi diedero vita ad una grossa offensiva contro le formazioni partigiane operanti nelle Marche ed in Umbria: offensiva che vide impiegate due Divisioni motorizzate; autoblinde e artiglieria pesante, ma soprattutto centinaia di uomini, truppe appositamente inviate dal fronte, reparti di SS e truppe dell’Esercito repubblichino. La banda “Paolini”, com’è facile intuire, fu tra le prime organizzazioni patriottiche che la subirono.
Il momento più duro per la Banda fu però in occasione delle spedizioni punitive nazi-fasciste a Rovetino e Castel di Croce del 9 e 12 marzo 1944.
Annunciato da un messaggio portato da Ascoli da Severino Cataldi (“giorno 9, ore 9”), l’attacco non trovò i partigiani impreparati. Dopo tre ore di combattimenti, l’attacco di Rovetino si chiuse con un successo per la brillante azione degli uomini di Paolini e con il sacrificio di un solo uomo, Gino Capriotti, detto “Saltamacchia”.
Ma all’alba del 12 marzo i tedeschi, sempre guidati dai repubblichini, attaccarono direttamente Castel di Croce, facendosi precedere da un intenso fuoco di mortaio. I nazisti, dopo una lunga sparatoria, conquistarono il piccolo centro. Negli scontri venne ferito anche don Nespeca, per fortuna in maniera leggera.
Nella frazione di Santa Lucia a Monsampietro di Venarotta i fascisti fucilarono tre giovani Partigiani della Banda Paolini.
L’iscrizione sulla lapide che li ricorda recita:
L’ODIO CI UCCISE
LA GLORIA CI ETERNA
DANESI LIVIO
MAZZOCCHI MARIO
TAURO ANTONIO
PATRIOTI DELLA BANDA PAOLINI
QUI FURONO TRUCIDATI DAI NAZIFASCISTI
PER AVER AMATO L’ITALIA
12 MARZO MCMXLIV
Ad Ascoli e a San Benedetto a fianco del popolo ucraino per condannare la vile aggressione russa e bielorussa
Febbraio 26th, 2022Convocati da CGIL, CISL UIL, si sono svolti ad Ascoli Piceno e a San Benedetto del Tronto due presidi contro l’aggressione russa e bielorussa alla nazione Ucraina.
La pioggia insistente e la rigida temperatura non hanno impedito ai rappresentanti di varie organizzazioni e partiti democratici di partecipare alle manifestazioni.
Il Presidente provinciale dell’ANPI, Pietro Perini, presente al presidio di Ascoli, ha rimarcato la condanna contro l’aggressione e sottolineato che analoga riprovazione deve essere espressa da tutte le forze democratiche contro i paesi, compresa l’Italia, che producono e commerciano armamenti, ricordando che solo una politica che ponga al centro il dialogo ed il confronto, può garantire una pace duratura e la messa al bando delle guerre.